I ngakpa

foto_tesi_andrea 7Nella credenza popolare dei tibetani il ngakpa1 è visto spesso come un mago che, con i suoi ngak2 o “formule magiche”, è in grado di manipolare a suo piacimento i fenomeni del mondo materiale e che può anche provocare sciagure e malanni. Per questo il popolo spesso ne ha timore.

Questa figura appare in più di un racconto. Nella vita del grande yogi3 Milarepa, ad esempio, si racconta che egli da giovane abbia studiato la magia nera presso uno di questi maghi per vendicarsi degli zii che avevano privato lui e la madre di tutte le ricchezze, riducendoli a dei miserabili. Milarepa fece crollare la loro casa durante il matrimonio del cugino, causando la morte di trentacinque persone. Fece poi cadere una violenta grandine sui campi del villaggio, rovinando i raccolti di coloro che non avevano sostenuto la madre nei momenti difficili.4 Ma ngak significa anche mantra e quindi il ngakpa è “colui che recita i mantra”, il praticante del Mantra Segreto, degli yoga del Tantra e dello “yoga primordiale” Ati Yoga o Dzogchen. Qui per yoga non si intende semplicemente una serie di esercizi fisici e respirazioni come nell’Hatha Yoga della tradizione indiana, ma qualcosa di molto più profondo.

Yoga, che a volte è tradotto come “unione”, in tibetano si traduce con naljor:5 Nal o nalma6 è la nostra condizione reale così come è, senza nulla da cambiare o modificare e jor significa avere questa conoscenza.

Il vero yogi, il naljorpa, è appunto chi possiede questa conoscenza concretamente e non solo a livello intellettuale.

Anche se ai termini ngakpa e yogi è spesso dato lo stesso significato penso sia opportuno delinearne una differenza: lo yogi è un ngakpa realizzato, quindi si può dire che uno yogi è anche un ngakpa ma non necessariamente un ngakpa è anche uno yogi.

L’insegnamento del Tantra è chiamato anche la “via della trasformazione” e ha un approccio completamente diverso da quello dei Sūtra che è chiamato la “via della rinuncia”. Infatti, mentre quest’ultimo vede le emozioni affliggenti (scr. kleśa) come qualcosa di negativo a cui rinunciare per mezzo di voti e allenamenti mentali (tib. lojong)7 impiegati come antidoti, il primo ne vede la potenzialità intrinseca e utilizza queste emozioni sul sentiero della liberazione trasformandole in saggezza.

Nel III sec. d.C. il Tantra era già diffuso in India e in Asia Centrale, i suoi praticanti erano soprattutto laici e la loro comunità era distinta da quella dei monaci che studiavano e praticavano gli insegnamenti dei Sūtra seguendo le regole del Vinaya.8

Nella sua forma fisica o nirmanakāya, il Buddha Śākyamuni si limitò a rivelare l’insegnamento dei Sūtra e solamente molti secoli dopo trasmise insegnamenti del Tantra, apparendo nella forma di Vajradhāra, Ghuyasamāja, Hevajra e altre manifestazioni del sambhogakāya a grandi realizzati o mahāsiddha.9

La tradizione indo-tibetana riporta le storie di ottantaquattro mahāsiddha famosi per i diversi metodi usati per raggiungere l’illuminazione e per i loro straordinari poteri.

Infatti, attraverso i numerosi mezzi abili (scr. upāya) della tradizione tantrica, seppero usare la loro situazione particolare come via per raggiungere l’illuminazione. Il loro comportamento, i loro attaccamenti e talvolta i loro difetti fisici erano il loro oggetto di meditazione, il loro sadāna (tib. drubthab):10 il mezzo per ottenere la realizzazione suprema e quelle ordinarie.

Tilopa raggiunse l’illuminazione macinando semi di sesamo per fare l’olio; Salipa che aveva il terrore dei lupi ricevette l’istruzione di considerare tutti i suoni come uguali all’ululato del lupo; Kotali il montanaro imparò a praticare le pāramitā scalando la montagna della mente; Tandhepa, che era un giocatore inveterato perse tutti i suoi beni ai dadi e si illuminò quando realizzò che tutto il mondo era vuoto come la sua borsa.11

Saraha, “il Grande Brahmino” (tib. Bramze Chenpo), incontrò la figlia di un artigiano che fabbricava frecce che lo istruì su come superare la dualità usando come simbolo la freccia che stava preparando in quel momento e, poiché si guadagnò da vivere fabbricando frecce, fu conosciuto con il nome di Saraha “Colui che ha tirato la freccia” o il “Sagittante”.

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Mahāsiddha Tilopa

I mahāsiddha appartenevano a tutte le classi sociali: tra loro vi erano re e ministri, brahmini, poeti e musici, madri di famiglia e prostitute, ecc. Molti di loro erano mendicanti senza una fissa dimora, mercanti e artigiani che svolgevano i lavori considerati più degradanti, mescolati alla gente delle caste più basse. Allo stesso modo dei kāpālika hindu, mistici folli che conducevano una vita libera da tutte le convenzioni sociali dell’India dell’epoca, passavano la notte nei luoghi dove venivano cremati o fatti a pezzi i cadaveri, mangiavano carne, interiora crude e altre sostanze putride, bevevano alcol e avevano rapporti sessuali con prostitute, donne di umili origini e fuori casta.12

Tutti questi elementi avevano la funzione di portare l’individuo al di là dei propri limiti ed erano considerati dei potenti mezzi per realizzarsi. Questi yogi davano più importanza all’esperienza diretta degli insegnamenti che alla speculazione filosofica studiata nelle grandi università buddhiste indiane di Nālandā e Vikramaśīla.

Molti dei loro insegnamenti non erano espressi a parole e concetti ma con dei gesti o in forma di canzoni (tib. nyam gur),13 che sorgevano spontaneamente dal loro stato ‘risvegliato’.14

Nāropa studiò molti anni all’università di Nālandā ed era molto abile nei dibattiti filosofici ma fu solo Tilopa a risvegliarlo alla sua ‘condizione reale’, colpendolo improvvisamente in testa con un sandalo.15

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Guru Padmasambhava

In particolare nell’VIII sec. è stato Padmasambhava a portare per primo in Tibet gli insegnamenti del Mantra Segreto, sotto invito del re Trisong Deutsen (742-797), e a dare inizio al lignaggio16 che poi prenderà il nome di Nyingmapa, o degli “antichi”.

Questi era nato in Oddiyāna,17 un regno a nord-ovest dell’India che molti identificano con la valle dello Swat in Pakistan, al confine con l’Afghanistan18 ma che avrebbe potuto essere anche molto più vasto e comprendere altri paesi centro-asiatici di religione buddhista.

Nella tradizione tibetana l’Oddiyāna è la terra delle dākinī,19 entità femminili di saggezza, detentrici degli insegnamenti segreti trasmessi poi ai mahāsiddha e a Padmasambhava.20

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Dākinī Kārmeśvarī

Quando Guru Padmasambhava si trovava in Tibet, diede per la prima volta l’iniziazione delle “Otto Grandi Sādhana” o Kabgye21 ai suoi venticinque discepoli nelle grotte di Chimphu nei pressi del monastero di Samye. Tra gli iniziati c’erano la sua principale consorte Yeshe Tsogyal, il re Trisong Deutsen e il ngakpa Nupchen Sangye Yeshe. Poiché queste pratiche costituiscono l’essenza degli insegnamenti tantrici da lui trasmessi in questa terra, i venticinque discepoli di Padmasambhava si possono considerare i primi praticanti del Tantra o Mantra Segreto (tib. Sangngak) del Tibet: i suoi primi ngakpa.

Nonostante esistano varie classificazioni del ngakpa a seconda della scuola o del lignaggio a cui appartiene, possiamo essenzialmente parlare di tre differenti tipi di praticante tantrico rappresentati chiaramente nel lignaggio Kagyu

1) il ngakpa che conduce una vita familiare (tib. kyimngak), come Marpa il traduttore che aveva moglie e figli.

2) il ngakpa che ha rinunciato alla vita nella società e mantiene il voto di celibato (tib. serngak). In questa categoria rientra il ngakpa asceta itinerante come Milarepa, che passò molti anni in ritiro in grotte sulle montagne ed altri luoghi isolati, vagando senza fissa dimora o come il famoso yogi di Rebkong Shabkar Tsokdruk Rangdl.

3) il ngakpa monaco (il monaco che pratica il Mantrayāna), il “detentore del vajra dai tre voti” (tib. sumden dorje zinpa): quello esterno del Prātimokṣa, quello interno del Bodhisattva e quello segreto del Mantra Segreto.

Il ngakpa monaco studia e pratica una combinazione degli insegnamenti dei Sūtra e dei Tantra: un esempio è quello di Gampopa (1074-1155), discepolo del grande yogi Milarepa.

Gampopa era un monaco ordinato e deteneva sia il lignaggio tantrico della Mahāmudra e degli yoga di Nāropā sia i lignaggi Sūtra di Atīśa. Un altro esempio e quello di uno dei venticinque discepoli di Padmasambhava: Vairocana il Traduttore.

Anche se il monaco che pratica il Tantra costituisce un tipo di ngakpa, generalmente oggi, quando si parla di ngakpa, si intende nella maggior parte dei casi il praticante tantrico laico non legato alla vita monastica e che , nella maggior parte dei casi, conduce una vita familiare, per lo più la figura del kyimngak.

Questi ngakpa, infatti, possono formarsi una famiglia e svolgere un lavoro che permetta loro di mantenersi e, accanto alle attività principali che sono l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, si possono dedicare a molti altri lavori come ad esempio quello di medico, insegnante, scrittore, commerciante, ecc. e, nei piccoli centri rurali, rappresentano ancora oggi un importante punto di riferimento per la popolazione locale.

Essi vivono infatti nella società laica con tutte le sue difficoltà e sofferenze con le sue gioie e le sue contraddizioni, terreno fertile per i ‘tre veleni’22 a cui non rinunciano ma che invece utilizzano come mezzi lungo il sentiero spirituale. Questo stile di vita è completamente opposto a quello dei monaci che vivono lontani dalle città e la cui vita è espressione della loro rinuncia: quella esteriore della vita sociale e quella interiore delle emozioni affliggenti.

Un insegnamento ngakpa essenziale è: “vivi così come è” ed è rappresentato dalla loro usanza di non tagliarsi i capelli e dal colore bianco del loro abito che rappresenta la purezza originaria della mente, fondamentalmente libera dall’illusione e dalle emozioni negative che ne derivano.

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Yeshe Tsogyel

Le donne che praticano il Tantra sono chiamate ngakma23 ed hanno un ruolo molto importante.

In passato in India, in Tibet e nello Shang Shung hanno vissuto grandi yoginī24 come Yeshe Tsogyal (VIII sec.),25 Mandarava (VIII sec.), Niguma (X-XI sec.), Sukhasiddhi (X-XII sec.) Machik Labdrön (1031-1129),26 Jomo Menmo (1248-1283), Sera Khandro (1892-1940), Ayu Khandro (1839-1953) e Öden Barma nella tradizione dello Yungdrung Bön e altre ancora.

Oltre ai primi discepoli di Padmasambhava, alcuni famosi yogi tibetani del passato furono Jigme Lingpa (1729-1798) nella tradizione Nyingmapa, i Khön Könchok Gyalpo (1033-1102) e Sachen Kunga Nyingpo (1092-1158) in quella Sakyapa, Marpa (1012-1097) e Milarepa (1040-1123) nella tradizione Kagyupa, Drom Tönpa (1005-1064) in quella dei Khadampa, il famoso costruttore di ponti Thangtong Gyalpo (1361-1485) detentore di vari lignaggi, Drenpa Namkha, Tapihritsa (VII-VIII sec.) e Shardza Tashi Gyaltsen (1859-1935) nella tradizione dello Yungdrung Bön e molti altri ancora.

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Jñānakumāra
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Namkhai Nyingpo
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Nupchen Sanggye Yeshe

Maestri vissuti in tempi più recenti sono stati anche Dudjom Rinpoche (1904-1987), Dilgo Khyentse Rinpoche (1910-1991), Chögyam Trungpa (1939-1987) e Chagdud Tulku (1930-2002) e Chimed Rigdzin (1922-2002) che negli ultimi decenni hanno dato molti insegnamenti in occidente.

Chögyal Namkhai Norbu, Dzongsar Khyentse Rinpoche, Sakya Tridzin  e i suoi figli sono solo alcuni esempi di yogi contemporanei che continuano a diffondere molti insegnamenti in tutto il mondo, in particolare quelli del Tantra e dello Dzogchen.

Una delle zone in cui più si è concentrata la tradizione degli yogi è Rebkong nell’Amdo (Tibet nord-orientale), appena a sud del Fiume Giallo. Gli abitanti del luogo sono per lo più agricoltori ma le aree più alte e lontane sono abitate anche da alcune comunità di nomadi come nel caso di Tsekok

Rebkong è un importante centro culturale, famoso per i suoi santi, artisti e studiosi, terra di Gendun Chöphel (1903-1951),27 autore di molte opere di grandissimo valore spirituale e letterario tuttora studiate dai tibetani, e dello yogi Shabkar Tsokdruk Rangdröl (1781-1851),28 da molti considerato una manifestazione di Milarepa.

A Rebkong i gruppi di ngakpa vengono chiamati ngakmang e accanto al più numeroso gruppo della tradizione Nyingmapa ne esiste anche uno dello Yungdrung Bön che per distinguersi dai ngakpa Nyingmapa hanno preso il nome di bönmang.29 Questi gruppi si dividono a loro volta in vari sottogruppi: ngakmang di differenti lignaggi all’interno della stessa tradizione religiosa, ngakmang di una zona, o di un villaggio.

Lo yogi Palchen Namkha Jigme, dicepolo di Alak Gyawo, dopo aver conferito nei pressi del villaggio di Changlung30 un’iniziazione dei Kabgye a molti ngakpa, diede ad ognuno di loro un phurba di legno.31

Si narra che ne furono consegnati mille e novecento e, per questo, da quel giorno i ngakpa di Rebkong vennero chiamati la comunità de’ “I Mille e Novecento Detentori di Phurba”.

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Villaggio di Chanlung, Rebkong
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Ngakpa di Jangkhya e di Changlung

In passato i ngakpa di Rebkong erano conosciuti e temuti in tutto il Tibet. Vi erano ngakpa capaci di volare, di invertire il corso di un fiume, di fermare il sole affondando il proprio phurba nel terreno e non erano pochi quelli che hanno avuto la realizzazione in una sola vita manifestando il ‘corpo di arcobaleno’.

Oggi a Rebkong, nonostante i ngakpa siano sempre numerosi e sono sempre di più quelli che considerano l’essere ngakpa alla stregua di un lavoro e “praticano solo per riempire le loro ciotole” come dicono con sarcasmo alcuni tibetani.

Ma, nonostante le vicende storiche passate, la progressiva modernizzazione e i problemi di quest’epoca oscura, oggi in Tibet e a Rebkong vivono ancora dei maestri altamente realizzati, la maggior parte dei quali, ha raggiunto più di settanta o ottant’anni e rappresenta una guida rara e preziosa per le generazioni future di praticanti del Dharma, nella speranza che questa preziosa tradizione continui ad essere preservata.

Oggi infatti in un mondo globalizzato che va sempre di più verso la modernizzazione, le persone sono sempre più prese dalle vicissitudini della vita, sono impegnate a perseguire i propri obbiettivi materiali e pratici ma allo stesso modo sentono che tutto questo non è sufficiente a dare un senso alla loro esistenza.

C’è quindi la necessità di conciliare la dimensione materiale con quella spirituale e, per realizzare questo scopo, non è necessario abbandonare la vita mondana e ritirarsi in solitudine, questo infatti potrebbe semplicemente essere un altro modo per astrarsi dalla realtà e non porterebbe a nessuna vera comprensione di noi stessi.

La vita del ngakpa, quindi, ci mostra come sia possibile vivere nel mondo seguendo un cammino spirituale senza troppe rinunce, confrontandosi con la situazione in cui ci si trova al momento, qualunque essa sia.

Da secoli i ngakpa hanno vissuto e continuano a vivere in questo modo, come direbbe Trungpa Rinpoche : “unendo il Cielo con la Terra”.

Il video delle foto delle miei viaggi tra i ngakpa di Rebkong e Hongyuan nel 2005-2006 è qui.

1 sngags pa.

2 sngags.

3 In sanscrito yogīn, divenuto nell’uso corrente yogi.

4 Bacot J., Vita di Milarepa, I Suoi Delitti, le Sue Prove, la Sua Liberazione, Milano: Adelphi 1994. pp. 23-42.

5 rnal ‘byor.

6 rnal ma.

7 blo sbyong.

8 Vedi Reynolds J. M., “The Mahasiddha Tradition in Tibet”, sul sito www.vajranatha.com .

9 Un mahāsiddha (drupchen/ grub chen) è appunto uno yogi che ha raggiunto la massima realizzazione.

10 sgrub thabs.

11 Cfr. Cornu P. 2003, op. cit., pp. 354-355.

12 “i kāpālika buddhisti e quelli hindu si ritrovarono così a frequentare i medesimi luoghi e, per un periodo, crebbero insieme, scambiandosi conoscenze e pratiche”. Baroetto G. , Hevajra Tantra, Roma: Astrolabio Ubaldini 2004, p. 8; vedi anche Reynolds J. M., “The Mahasiddha Tradition in Tibet”, www.vajranatha.com;

13 nyams mgur. Per esempi di nyam gur cfr. Donatoni R. 2002, op. cit.; Riggs N., Like an Illusion, Lives of the Shangpa Kagyu Masters, Oregon : Dharma Cloud Press 2001, pp. 288-289; Ricard M. 1994. op. cit.

14 Reynolds J. M., “The Mahasiddha Tradition in Tibet”, www.vajranatha.com ; Cornu P. ,2003, pp. 353-355.

Per le vite degli ottantaquattro mahāsiddha vedi anche Dowman K., Masters of Mahamudra, Songs and Histories of the Eightyfour Buddhist Siddhas, Albany, State University of New York Press 1985.

15 Cornu P., 2003, op. cit. pp.405-407, 681-683; Patrul Rinpoche 1994, op cit. pp.145-146; Kalu Rinpoche 2000, op. cit., pp. 200-202.

16 In questa accezione ilil termine identifica una successione ininterrotta di maestri che detengono un certo tipo di insegnamenti.

17 Tib. O rgyan.

18 Cfr.Tucci G.1997, op. cit., p. 50.

19 Le dākinī sono delle entità femminili molto potenti. In Tibet sono chiamate khandro (mkha’ ‘gro ma): “coloro che percorrono lo spazio”. Ci sono le dākinī di saggezza (yeshe khandroma/ye shes mkha ‘gro ma), esseri illuminati che hanno realizzato il profondo significato degli insegnamenti segreti e li proteggono. Possono trasmettere la conoscenza ai praticanti per aiutarli sulla via.

Ci sono poi le dākinī mondane (jikrten khandroma/‘jigs rten mkha’ ‘gro ma), esseri ancora vincolati dall’esistenza condizionata o saṃsāra, i cui poteri possono influenzare, spesso anche negativamente, solo eventi mondani. Vajrayoginī, Mandāravā, Simhamukhā, Ekajatī e Śridevī sono tutte dākinī di saggezza. Quando lo yogi Khyungpo Naljor incontra la dākinī Simhamukha dal volto di leone, ella gli dice: “L’istruzione suprema è riconoscere la dākinī come la tua propria mente.”

Reynolds J. M., “Wisdom Dakinis, Passionate and Wrathful” www.vajranatha.com; De Falco C., La biografia del grande Maestro Padmasambhava di Taranatha, Arcidosso: Shang Shung Edizioni 2002, p.18. Cornu P. , 2003, ivi, pp.149-150. Cfr. Riggs N. 2001,op. cit. ,pp.10-13, 34-43; Kalu Rinpoche 2000, op. cit. , pp. 190-191, 233-237; Simmer-Brown J. , Dakini’s Warm Breath, The Feminine Principle in Tibetan Buddhism, Boston: Shambala 2001. Per una raccolta di biografie su Padmasambhava vedi Ngawang Zangpo, Guru Rinpoche, His Life and Times, Ithaca, New York, Boulder Colorado: Snow Lion Publication 2002.

20 De Falco C. 2002, ivi, pp. 17-20; Cornu P. , 2003, ivi, pp. 432-433, 445-450.

21 bKa’ brgyad. Le Otto Grandi Sādhana (Drup De Chenpo Gye/sGrub sde Chen po brGyad). Le Sādana degli Otto Heruka. Guru Padmasambhava ricevette queste trasmissioni dagli Otto Vidyādhara (rigdzin/rig ‘dzin) negli Otto Grandi Carnai Indiani. Gli Otto Heruka: 1) Yangdak Heruka (yang dag he ru ka) di colore bianco a est , 2) Jampel Ku (’jam dpal sku- Yamāntaka ) di colore giallo a sud, 3) Pema Sung (pad ma gsung– Hayagrīva) di colore rosso a ovest, 4) Phurba Thrinle (phurpa ‘phrin las-Vajrakīla) di colore blu a nord, 5) Dudtsi Yontan (bdud rtsi yon tan) a sud-ovest , 6) Mamo Pötong (ma mo rbod gtong) a sud-est, 7) Jikrten Chötö (’jig rten mchod bstod) a nord-ovest e 8) Möpa Drak Ngak (dmod pa drag sngags) a nord-est. Al centro si trova Chemchok Heruka, (che mchog he ru ka) “ il Grande Heruka Glorioso” di colore blu scuro, emanazione terrifica del Dharmakāya Samantabhadra, oppure Lama Rigdzin (bla ma rig ‘dzin– Guru Vidyādhara), divinità che sintetizza in sé il principio degli otto vidyādhara o l’essenza di Padmasambhava. Cornu P. , 2003, op. cit. , pp. 283-285. Ricard 1994, op. cit. , p. 602.

22 I “tre veleni” (dug sum/ dug gsum) sono le tre principali emozioni che affliggono la mente.

23 sngags ma.

24 Il corrispettivo femminile di yogi.

25 Per la vita e gli insegnamenti di questa yoginī vedi Dowman K., La Danzatrice del Cielo, La Vita Segreta e i Canti di Yeshe Tsogyal, Roma: Astrolabio Ubaldini 1985.

26 Viene riportata anche quest’ altra data (1055-1145). Cfr Cornu P. 2003, op. cit., p. 335

27 Cfr. Ricard 1994, op. cit., p.13.

28 Ricard M. 1994, op. cit.

29 Secondo Hungchen Chenagtsang infatti un gruppo di ngakpa in tibetano si dice ngakmang e bönmang è un nome scelto dai ngakpa Bönpo esclusivamente per distinguersi dal più numeroso e antico gruppo Nyingmapa. Il Bönmang e più unitario e non esistono bönmang di differenti lignaggi. Vedi il capitolo 3.

30 Nel dialetto di Amdo viene pronunciato Shyanglung.

31 Scr. kīla. “Pugnale rituale di forma piramidale a tre lame unite in una sola punta, usato nel Vajrayāna tibetano e nepalese. L’estremità dell’impugnatura è solitamente ornata da una testa (che simboleggia Guru Drakpo) o da tre teste di deità irata (che simboleggiano Vajrakīla), oppure una o tre teste sormontata/e da una testa di cavallo a simboleggiare Hayagrīva). La lama emerge dalle fauci di un makara.” Il makara è un animale leggendario che in Tibet e raffigurato come una sorta di drago con la proboscide. Cornu P., 2003, ivi, pp. 364-365, 480.

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