20 luglio
Finalmente mi sono elevato dagli abissi di Lanzhou, una delle città più inquinate del mondo, alle montagne del Amdo, la Lamaseria di Labrang dove ho rincontrato i miei amici Gönpo e Sebastiano.
Erano due anni che non vedevo Sebastiano e sono stato contentissimo di parlare ancora con lui. Parlavamo sempre di tante cose: la visione della vita, il significato e il valore dei rituali e della spiritualità in genere e lui aveva sempre un grande senso dell’umorismo e di tanto in tanto faceva battute per sdrammatizzare il tutto.
Nel tardo pomeriggio siamo andati insieme ad un bambino olandese e ai suoi genitori a trovare un giovane tulku nella sua residenza poco lontano dalla Guesthouse del monastero.
Il tulku ha undici anni ed è la reincarnazione di un lama che nella vita precedente aveva raggiunto un alto livello di realizzazione.
Sono rimasto stupito dal suo inglese, decisamente inusuale per un bambino della sua età. Monaci, tutori, suo padre e sua madre gli stavano sempre vicino.
Tra loro c’era anche un ragazzo di Pechino, un tipo molto magro con un po’ di barba e baffi.
Era buddhista, aveva incontrato il piccolo lama alla montagna sacra Wutai in Cina ed era tornato qui con lui per insegnargli il cinese ed approfondire il suo studio e la sua pratica.
Questo fatto è decisamente inusuale infatti in Cina, a parte i monaci, qualche anziano e qualche curioso, finora non ho incontrato molti cinesi buddhisti e quelli che seguono il buddhismo tibetano sembrano essere ancora meno.
Sul piazzale del monastero vedo spesso pullman di turisti cinesi ma nessuno che preghi o che abbia una mālā in mano o al collo, si limitano a girare per i vari padiglioni seguendo goffamente una guida e a fare foto invadenti lungo la khora ai pellegrini suscitando reazioni di sdegno. I tibetani infatti non amano essere fotografati da loro o comunque non sembrano dargli il benvenuto.
Bempa, così si chiama il piccolo lama, ha un’energia e una voglia di giocare uguali a quelle di tutti i bambini. Abbiamo fatto qualche passaggio a pallone con lui fuori nel cortile ed era molto contento. Dopo un po’ siamo andati via.
La sera nella cameretta di Sebastiano, dietro al ristorante, abbiamo mangiato ancora tofu in salsa piccante, patatine fritte e dei funghi tibetani infarinati con l’orzo dal gusto burroso. Dopo una lunga chiacchierata sono andato a dormire, ero esausto.
Le stelle si stagliavano nitide e luminose su cielo nero….le stelle di sempre.
21 Luglio
Oggi dopo tanto tempo ho seguito la khora intorno a Labrang Thashikyil. Qui il sole è molto forte e le ore migliori per circoambulare il monastero sono quelle del primo mattino o del pomeriggio dopo le cinque, così io e Sebastiano ci siamo incamminati nel tardo pomeriggio, dopo aver comprato del pane, e preso del ketchup e della marmellata. E venuto anche con noi Asang un bambino tibetano molto vivace e ci seguiva con in mano un sacchetto d’uva fragola che gli aveva dato sua madre. Camminavo come tutti gli altri facendo girare le grandi ruote di preghiera (mani khorlo) colorate con una mano e tenevo la mālā (una sorta di rosario) nell’altra.
Alla fine di una fila di ruote e all’inizio di un’altra spesso c’erano delle piccole stanze scure, le pareti ricoperte di dipinti raffiguranti i buddha e i bodhisattva erano illuminate solo dalla luce fioca di lumini ad olio e al centro c’erano delle ruote dalle dimensioni enormi. Ruota dopo ruota, le lettere dorate dei mantra che giravano scintillando alla luce del sole mi facevano quasi perdere l’equilibrio.
Il nostro cammino era accompagnato da file di vecchiette rugose e sdentate, pastori sporchi dalle facce bruciate dal sole e sorrisi dorati, ragazze sorridenti e curiose e monaci dal passo spedito. Il bisbigliare di mantra ondeggiava nell’aria, come i cerchi provocati da un sasso in uno stagno.
Arrivati al Gungthang Chörten ho incontrato Kagya, il monaco custode che avevo conosciuto l’anno scorso e con cui mi fermavo spesso a parlare quando arrivavo in quel punto.
Le montagne ondulate, i falchi, il fiume, il ponte di legno con le bandierine di preghiera.
Passato un secondo e più piccolo chörten bianco in muratura siamo saliti lungo il sentiero che sovrasta gli ampi piazzali e i tetti d’oro del monastero e che costeggia la montagna, ci siamo fermati su dei gradini e alla rosea luce del tramonto abbiamo pasteggiato a base di pane, ketchup, marmellata e uva.
“Demo” dicevano i monaci che passavano lungo la via. Eravamo rimasti lì seduti da un po’ a parlare e a goderci il panorama e quell’atmosfera di pace, quando è arrivato un uomo sporco e stracciato e rivolgendosi a noi, ha detto qualcosa per me incomprensibile. Sebastiano mi ha detto che l’uomo ci aveva invitato ad avviarci verso casa e che lui ascoltava sempre i consigli di uomini così.
“Hanno un sesto senso è meglio ascoltarlo.”
Così ci siamo incamminati, il sole era quasi tramontato del tutto. Le casette di meditazione sul fianco della montagna….due padiglioni con ruote enormi e lumini ad olio….un giro intorno ad un altro chörten….un ultima lunga fila di ruote ed eravamo al ristorante di Dorje.
Il giro era finito ed eravamo molto stanchi: due momo di yak fritti e a letto.

28 luglio
Questa mattina come al solito ho fatto colazione al ristorante della famiglia di Dorje: il Labrang Monastery Restaurant con tsangpa e tè con latte. Finalmente, dopo tanti tentativi, l’impasto dello tsangpa mi riesce bene e non faccio più il solito pasticcio che fa ridere tanto i tibetani.
Dopo colazione sono andato a fare la khora, il tempo era brutto e lo è stato fino a sera, ha piovuto e tirava un vento freddo. A cena ho mangiato dei mian e sono tornato alla guesthouse del monastero.
Questa guesthouse si trova in una piccola traversa della via principale più sù poco lontano dal ristorante ed è una delle più economiche (un posto letto costa 5 kuai). Attraversando un cancello di ferro, si entra in un cortile di terra battuta intorno a cui si aprono delle porte di legno arancioni ognuna con accanto una finestra. Dalle porte arancioni si accede direttamente nelle stanze che si trovano tutte al piano terra.
La mia stanza ha due letti, una stufa (di solito alimentata con sterco di yak essiccato) e un bollitore d’alluminio per l’acqua calda, la porta si chiude puntellando un asse di legno alla stufa. Come la maggior parte delle abitazioni in Tibet e non c’è l’acqua corrente l’acqua si prende da un pozzo o dal bidone nella stanza di Kalsang, il gestore della guesthouse, e ci si lava in una bacinella nella stanza e il bagno è una latrina comune fuori.
Gli altri ospiti della guesthouse sono principalmente pellegrini tibetani o mongoli, che vengono a visitare il monastero e a fare la khora.
Di tanto in tanto per il cortile passeggia qualche vecchietta rugosa e sdentata.
Una vecchietta con i vestiti colorati e i capelli legati in piccolissime treccine divise in tre fasce, che arrivano quasi a terra, sorride ogni mattina.
Accanto al cancello c’è la stanza di Kalsang, un amico di Lama.
Kalsang è un uomo di bell’aspetto, magro con i capelli corti, ha vissuto in India per molti anni e parla bene inglese. La sera ho parlato con lui, è un tipo strano, di poche parole, un po’ enigmatico.
A Labrang girano tante storie su di lui e su alcuni dei suoi amici. Ogni tanto lo incontri sulla strada o lo vedi uscire da dietro un angolo. Con quel suo sguardo furbo e furtivo sembra sempre essere in cerca di qualcosa o di qualcuno. Sembra saperne una più del Diavolo.
29 luglio
Oggi io e Dom, un ragazzo belga che avevo conosciuto la sera prima, ci siamo incamminati verso una delle montagne di fronte al Gungthang Chörten, abbiamo passato il ponte di legno ricoperto di bandierine di preghiera, siamo arrivati dall’altra parte del fiume, siamo saliti sulla montagna e ci siamo seduti sull’erba al sole ammirando il panorama: i tetti dorati del monastero e del chörten e le basse case d’argilla dei monaci. Vicino a noi c’erano un uomo e una donna che sedevano in silenzio con i rosari in mano e abbiamo parlato un po’.
Dopo un po’ è arrivato un ragazzo e insieme a lui siamo saliti più in alto fino ad un boschetto di pini alti e sottili che s’innalzavano sopra un soffice tappeto di muschio. Siamo rimasti lì per un po’ in silenzio ad ascoltare il suono del vento, un sibilo dolce che faceva muovere le cime degli alberi.
“Prima qui non c’erano alberi.” Ha detto il ragazzo.
“Qui un giorno il lama di Labrang si e rasato e ha sparso i suoi capelli che sono diventati alberi di pino.”
“Quest’anno se ne è andato, quindi ci sono meno fiori.”
“Perché non ci sono i falchi?” Ho chiesto.
“Perché ieri è morto uno del paese e i falchi stanno dall’altra parte della montagna, dove hanno portato il corpo.”
“Hanno già finito?” Ho detto io alludendo al funerale celeste.
“Non ancora, adesso i lama stanno recitando le scritture e impiegheranno ancora qualche giorno.”
Dopo un po’ siamo riscesi e la sera ho giocato a xiangqi (scacchi cinesi) con il padre di Dorje, il padrone del Labrang Monastery Resaurant.
(Labrang, estate 2000)

