Il grande incrocio

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Se a Chengdu vi capiterà di andare nel quartiere di Wuhou, di fronte al grande santuario di Zhu Ge Liang, dall’altra parte della strada, passando tra la Banca delle Costruzioni e la Banca Commerciale, vi troverete a camminare su Wuhouci Hengjie, apparentemente una strada come tante altre ma vi potreste sentire completamente persi in un’altra dimensione, un piccolo mondo tibetano nella grigia monotonia che ormai caratterizza sempre di più questa città.

Monaci e lama dalle vesti rosso scuro e giallo zafferano,  donne tibetane con lucide acconciature e preziosi gioielli, nomadi coriacei dalle terre del Nord-Est con scarponi da montagna, khampa  con l’aria fiera di antichi guerrieri, vi guarderanno con curiosità, sospetto, entusiasmo.

Qualcuno interromperà il suo sussurrare di mantra con un saluto gentile, una manifestazione di rispetto, un sorriso dai denti d’oro, qualcuno invece vi seguirà con uno sguardo austero sparire all’interno di una porta, salire su una scala o girare dietro un angolo.

Ristoranti tibetani, hotel e bettole cinesi si affacciano qua e là tra negozi di statue buddhiste, thangka e altri oggetti rituali oltre a un’infinità di monili, pietre, portafortuna e souvenir di vario genere.

Ma quello che appare al comune viandante è solo la piccola parte di un labirinto su più livelli, esistono infatti degli spazi che l’occhio non vede, sale da tè e locali nascosti le cui finestre sono, spesso, celate dal fogliame di un albero o da una lunga balconata sopra a un generatore della corrente e a un groviglio di cavi dell’alta tensione.

Ci sono tanti posti segreti, cortili interni silenziosi, vicoli polverosi dove anziani cinesi sorseggiano tè su basse sedie di bambù giocando a majiang.1

Lungo la strada e nelle zone vicine, interi appartamenti vengono presi in affitto da tibetani e vengono trasformati in piccole pensioni  che possono arrivare a ospitare fino a venti o più posti letto al costo di circa 20 o 25 yuan ciascuno.

Gli odori che si sentono sono quelli che ormai caratterizzano Chengdu: o di gas di scappamento, solventi, polveri di costruzioni e di pneumatici, o di hot pot, peperoncino, olio e fritto dei ristoranti e dei baracchini per strada, o di fogna. Quando raramente si sente un profumo, questo si mischia a tutti o almeno ad alcuni di questi odori.

L’unico odore che manca e quello dell’aria.

Tutto questo sembra un paradosso visto che negli antichi testi tibetani Chengdu era chiamata la “Città degli Dei” o la “Città Profumata” e i tibetani la consideravano un luogo sacro.

Lasciandosi il santuario di Zhu Ge Liang alle spalle, e camminando su Wuhouci Hengjie per poco più di 200 metri si arriva al Grande Incrocio, il “cuore” della sinmo inchiodata sul suolo di Chengdu, il punto d’incontro più importante del quartiere tibetano insieme al Kangding Hotel, dove la via incrocia una strada perpendicolare che a sinistra diventa Ximianqiao Hengjie e a destra Wuhouci Dongjie.

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Queste due strade, che essenzialmente sono un’unica strada con due nomi, costituiscono le braccia della demonessa e avvolgono  tutto il resto del quartiere nelle sue zone di “luce” e di “ombra”.

Avvicinandosi al Grande Incrocio, le note delle canzoni dell’altopiano diventano sempre più forti e si possono vedere gruppetti di uomini e di donne a quasi tutte le ore del giorno e della notte.

Al Grande Incrocio sostano sempre una o più camionette e mezzi della polizia ma sono degli elementi talmente comuni da queste parti che la gente non sembra badarci molto e continua il proprio via vai con indifferenza. I poliziotti che spesso sostano in piedi o che pattugliano la strada ricevono meno considerazione dei manichini esposti nelle vetrine. Questi almeno catturano l’attenzione di chi è in cerca di vestiti da comprare.

Non c’è tibetano che sia venuto a Chengdu che non sia passato per Il Grande Incrocio, dall’ U Tsang, dal Kham, dall’Amdo, dalla remota terra occidentale di Ngari, migliaia di chilometri per arrivare qui.

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Sono ormai più di dieci anni che mi aggiro in questa zona, i miei passi l’hanno percorsa in lungo e in largo, entrando in ogni negozio, hotel, locale e ristorante, incrociando il cammino di grandi lama, mahasiddha , tertön e bodhisattva ma anche quello di falsi maestri, ladri, briganti, prostitute, imbroglioni, assassini e poliziotti in borghese.

Anche io, come loro, ho attraversato più volte questo crocevia, un posto piccolo ma con troppe storie, personaggi e situazioni per essere descritte in così poche righe. Storie di mercanti e artisti, di mendicanti, di pazzi, di gente mutilata e sfigurata, storie allegre e tristi, piccoli fili nell’infinita trama dell’umanità.

Tra queste, quella più bella è quella di un’anziana regina dei mendicanti. Un giorno ve la racconterò.

1Un gioco che ha molti elementi in comune con la nostra scala quaranta ma dove al posto delle carte vengono usati dei piccoli mattoncini colorati.

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