
Abbiamo lasciato Lijiang e siamo volati a Jinghong, città principale dello Xishuangbanna.
Lo Xishuangbanna1 è una regione autonoma dai che si trova nella parte meridionale dello Yunnan al confine con la Birmania e il Laos. Qui oltre ai tai2, che sono l’etnia prevalente, ci sono più di dieci etnie diverse tra cui hani (o akha), gli yi i lahu, i blang, i jino, gli yao, i miao, i va, i bai, i zhuang, ecc.
Come la molte etnie del sud-est asiatico questi popoli sono stati spinti qui da altre zone dell’Asia meridionale molto tempo fa.
La zona è molto fertile, l’atmosfera è quella del tropico, accanto alle risaie ci sono banani, ananas, canne da zucchero, alberi della gomma e in questa stagione piove spesso.
Accanto alle scritte in ideogrammi cinesi compaiono le scritte in tai.
Jinghong è una cittadina carina dall’aspetto moderno, casette piastrellate con i tetti in stile dai, banani ai cigli della strada e gente dalla pelle abbronzata che gira a torso nudo. Tutti hanno un aria rilassata. Vedo delle persone che giocano a biliardo fuori, lungo Manting Lu, la via principale.
Nella città, qua e là compaiono le case dai tetti spioventi in legno dei vecchi villaggi tai.
Con il mio amico Giulio spesso scherzavamo su l’atmosfera losca e promiscua che regna in Cina e in certe parti dell’Asia, soprattutto dove ci sono delle comunità cinesi, e parlavamo dei bordellanti, bordelli-ristoranti. Ebbene l’altra sera a Mangting Lu abbiamo cenato in un bordellante.
Erano circa le otto di sera, un’ora normale per la cena in Italia, ma non in Cina dove si cena verso le sei e dopo le otto è difficilissimo trovare un ristorante aperto. Avevamo fame e stavamo camminando in cerca di un posto dove mangiare e riposarci in attimo, quando ecco che la mia attenzione viene attirata da un ristorante. Ma niente è come sembra.
Ho chiesto da mangiare e ho notato nel mio interlocutore un espressione sorpresa, seccata e preoccupata. Ho intuitivamente capito che qualcosa non andava e ho ordinato un riso fritto all’uovo pensando che non ci sarebbero state molte altre scelte.
Sedevamo sui tavoli fuori e dentro, illuminate da una fievole luce rosata si intravedevano facce loschissime. “Bordello o ristorante?” Penso e mi viene la risposta: “bordellante”. “Padroni del ristorante o magnaccia?” “padronaccia”.
E’ questo vedere le cose nel loro continuo divenire al di là del dualismo del pensiero orientale? E’ la via di mezzo? Mah.
Dietro il nostro tavolo aloneggiava la scritta cinese “centro dell’amore”, “taglio di capelli, lavaggio testa e massaggi.” La cameriera era troppo carina e dalla finestra della cucina era affacciata una ragazza dai bellissima con una borsetta e un vestito da sera bianchi. Forse una prosticuoca? Vedo che comincio a imparare la filosofia locale.
Manting Lu al calar del sole non solo è piena di prostitute ma anche di indiani birmani musulmani con i loro longhi che…gestiscono gioiellerie? Non so comunque sono quasi più loschi dei padroni dei bordellanti o barber shops (cin. lifadian).
Di giorno Mangting Lu ha tutto un altro aspetto: monaci buddhisti, in tuniche arancioni, bambini che escono da scuola e “parrucchiere” annoiate che leggono il giornale o guardano la televisione sedute su divanetti di finta pelle o su panchetti lungo la strada e il centro dell’amore era un normalissimo ristorante ma manteneva sempre l’insegna equivoca.
Più avanti c’è anche un piccolo tempio buddhista dove mi sono fermato a pregare e fatto la divinazione con i bastoncini e dove il giorno dopo abbiamo assistito ad una cerimonia.
Sul pavimento di legno erano sedute molte donne e uomini dai di una certa età che ascoltavano un monaco che recitava le scritture in pali.
Ci siamo seduti in mezzo a loro e gente sorridente ci ha offerto della frutta tagliata.
Hanno acceso tante candele sottili e la loro luce si rifrangeva su sculture di carta dorata a forma d’albero, creando un incantesimo. Il profumo di olio di cocco mi ha riportato alla mente piacevoli ricordi, ho chiuso gli occhi lasciandomi cullare un po’.
Mamma e Paula sono andate via e io sono rimasto a guardare ed ascoltare.
Sono uscito salutando le signore tai mi sono seduto fuori a parlare con un monaco che mi ha chiesto d’insegnare l’inglese nel monastero.
Mi sono dimenticato di dire che Jinghong è lambita dalle acque rosse del Mekong.
Lungo il corso di questo grande fiume (cin. Lancang Jiang) c’è una lunga via piastrellata, deserta di giorno e animatissima di notte.
Dalle sette di sera alle quattro del mattino ci sono ristorantini con tavoli fuori, spiedini e cibarie di ogni genere, balere, piste di pattinaggio, videogiochi, giostre, biliardi, tutto a cielo aperto o coperto da tendoni e ombrelloni nelle giornate di pioggia.
Un’atmosfera di fumi speziati, echeggi di canzoni e un lontano bip bip di giochi elettronici.
La vita della città la notte è più animata, di giorno infatti fa troppo caldo.
Tra i tavoli girano belle ragazze che promuovono la loro birra in costumi tradizionali e ragazze akha, per lo più adolescenti, che offrono dei massaggi alla schiena alla gente seduta all’aperto per 10 yuan, mi sono fatto fare un massaggio anche io.
Una di loro con dei lunghissimi capelli raccolti, Miduo, mi ha raccontato che le donne akha imparano a fare i massaggi dalle loro madri all’età di due anni e che le ragazze che lavorano qui vengono da un villaggio vicino e lavorano per un lao ban alquanto sfruttatore che trattiene il 70% dei loro guadagni dandogli almeno il vitto e l’alloggio.
Queste ragazze solitamente vestono “costumi han” , vale a dire vestiti normali.
(Xishuangbanna, 30 Agosto 2000)
1 Traslitterazione cinese del nome sipsongpanna che lingua dai vuol dire “12.000 campi di riso.”
2 I popoli tai sono una famiglia di etnie che vivono nel sud-est asiatico, nella Cina meridionale e nell’India nord-orientale. Parlano lingue appartenenti alla famiglia tai kadai e sono quasi tutte di religione buddhista theravada.