Nuovi e antichi dei

 

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Quando gli antichi dei sono dimenticati

Nei miei viaggi tra le comunità dei cinesi nel sud est asiatico, a Hong Kong e nella Cina Popolare, ho sempre fatto caso a una differenza fondamentale: nella Cina Popolare il culto delle divinità della terra, dell’acqua e del cielo è praticamente scomparso.

Questi spiriti, che personificano le forze della natura e che dovrebbero essere rispettati per mantenere una società armoniosa, sono invece stati oltraggiati, offesi e, nel migliore dei casi, semplicemente dimenticati.

Ora la Cina sta, come dice, “governando la natura”(zheng fu zirang),  e pensa ingenuamente di riuscirci.

L’antico imperatore faceva i sacrifici al Cielo e alla Terra ma quando ci si aspetta che il Cielo e la Terra facciano i sacrifici ai nuovi imperatori vuol dire che c’è un  problema: l’ordine è capovolto e le sempre più frequenti catastrofi naturali sembrerebbero esserne un segno.

Se vuoi domare un cavallo selvaggio solo con la forza, senza alcun rispetto e gentilezza, questo prima o poi ti butterà giù.

Senza il culto di queste divinità e il culto degli antenati (non parlo degli antenati comunisti con le loro rispettive mummie)  manca qualcosa alla spiritualità cinese, qualcosa di trasparente e incolore come l’aria, che spesso è associato alle varie forme e ai vari  colori con cui entra in contatto (taoismo, confucianesimo e buddhismo).

Queste “divinità” e “spiriti” sono la manifestazione shen (神) delle forze del Cielo e della Terra e interagiscono con il mondo degli uomini a cui sono strettamente legate.

Possiamo trovare molte di queste tradizioni e miti nel “Classico dei Mari e delle Montagne”, lo Shan Hai Jing.

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La Cina Popolare e la Cina Oltre il Mare

Taiwan, Hong Kong, Macau e la Cina d’Oltremare invece, nonostante il dominio coloniale, hanno mantenuto intatte tutte quelle tradizioni e quel folclore che ha sempre caratterizzato il popolo cinese.

I cinesi d’oltremare infatti nelle loro chinatown hanno affondato radici forti che gli hanno permesso di rimanere culturalmente saldi in terra straniera (eccetto rare eccezioni). Non hanno mai avuto dubbi sulla loro identità culturale, non l’hanno mai tradita né  abbandonata e, se in alcuni casi questo è successo, è stato per decisioni o circostanze a loro  esterne.

L’altra Cina, è una “Cina nuova” (Xin Hua) che ha deciso di rinnovarsi e di cambiare  rompendo con la “società feudale” e la tradizione, seguendo quelli che chiamava modelli culturali stranieri ma che sono stati poi un pretesto per fondare un nuovo impero basato su una versione cinese di quei principi. Una Cina che nonostante le ostentazioni di forza e l’orgoglio è ancora insicura, soffre di un complesso d’inferiorità e infondo dubita ancora di se stessa.

Un paese che ha sì tante potenzialità ma anche tante sfide interne da affrontare e tanti problemi da risolvere e forse ha paura che potrebbe non farcela. Una Cina che con il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale è l’unica responsabile dei suoi fallimenti e delle sue distruzioni anche se fa fatica ad ammetterlo e che in un certo senso ha tradito se stessa, volendo sradicare le sue radici che ora cerca goffamente di trapiantare senza sapere bene come.

In questo quadro gli stranieri sono usati dalla propaganda come capro espiatorio per distogliere l’attenzione della popolazione (per la maggior parte ancora tenuta nell’ignoranza) dai veri problemi e dai veri responsabili che sono molto spesso interni.

L’intento è quello di mantenere viva nell’immaginario collettivo la figura di un “cattivo” esterno che vorrebbe distruggerli. Questo, secondo alcuni, potrebbe essere in parte anche vero ma non certo in questi termini così esagerati e teatrali che rasentano quasi il comico.

Questo sentimento è esageratamente rialimentato dai serial che chiamo per divertimento  dei “tre cattivi”: giapponesi, colonialisti/imperialisti occidentali (yang gui) e nazionalisti del Guomindang. Mentre gli ultimi due si cominciano a vedere sempre di meno, quelli sui giapponesi, ora più che mai, vengono trasmessi tutti i giorni a quasi tutte le ore cosa che forse ai responsabili della programmazione sembra patriottica ma che ad un osservatore esterno sembra ridicola. Insomma con la scusa del non dover dimenticare si continua a gettare benzina sul fuoco a tutte le ore.
Certo che se trasmettessero  meno questo tipo di programmi e più film comici o cartoni animati forse il rancore passato e le aspettative future si placherebbero e la gente vivrebbe più in pace nel presente.

Infatti in Kungfu Fu Panda il maestro Wu Gui dice: “Ieri è storia, domani è un mistero ma oggi è un regalo: per questo si chiama presente!” Ma forse questo presente per molti non è proprio così bello e armonioso.

Molte persone però, soprattutto tra i giovani, sembrano già cominciare ad accorgersi di questo sortilegio e qualcuno comincia a svegliarsi.

La nuova spiritualità cinese: forma, regole e materialismo

Nonostante una gran parte dei cinesi della Nuova Cina si siano riavvicinati alla spiritualità in tutte le sue forme, la loro comprensione rimane ancora superficiale  e, nella maggior parte dei casi, i rituali della gente comune (una versione un po’ “personalizzata” di quelli tradizionali) vengono riproposti in una serie di movimenti più simili ad una scena teatrale che altro. Insomma viene data molta attenzione alla forma che, come altre cose in questo paese, è spesso eccessiva e poco alla sostanza. Questo ingrediente aggiunto ad anni di educazione e slogan socialisti, fa sì che tutti i rituali vengano trasformati in una serie di rigide regole meccaniche quasi militarizzate.

Quando qualcuno prega o fa delle offerte accade spesso di sentire una voce “fuori campo” severa che sentenzia: “Non devi pregare così!” “Non ti devi inchinare in questo modo” o che ti “insegna” o “consiglia” sempre qualcosa: “non capisci! Ti insegno io come fare” “Ti sbagli! Ti consiglio di fare così!”

Si è sempre osservati, giudicati e controllati e raramente si è lasciati liberi di fare come ci si sente. I “credenti” per paura di sbagliare sembrano cercare di imitare nervosamente qualcosa, a volte imitano timidamente quelli che stanno intorno a loro ma che a loro volta sono confusi o stanno imitando altri. Si riducono così a scimmiottare dei movimenti e dei rituali del passato che non hanno del tutto compreso e assimilato in un gioco che sembra la versione mimica del telefono senza fili. Insomma c’è poca rilassatezza e, ancora per molti versi, una grande confusione.

C’è molto gan e poco wuwei.  Il fare le cose giuste al momento giusto e nella misura giusta, solamente se necessario, è diventato uno strafare che rovina e distrugge quello che andrebbe seminato e raccolto con pazienza. Se salti in padella a fuoco troppo alto o per troppo tempo bruci  tutto.

Quindi anche se  in Cina ci sono nominalmente milioni di taoisti e buddhisti, anche se alcune statistiche dicono che più del 30% dei cinesi segue la religione popolare, tra la gente comune è ancora tutto molto caotico e incerto. In quasi ogni ristorante è apparsa una divinità della ricchezza (cai shen) ma rimane ancora molta confusione.

Bisogna dire però che in quasi vent’anni sono stati fatti molti progressi e che imitando alla fine si può anche imparare. Come dice il guru dello Yoga della Risata: “fake it until you make it”.

La Cina sta imparando ma non sta ancora disimparando. Molte volte infatti quello che serve non è studiare cose nuove ma eliminare dei concetti, delle idee e dei punti di vista che ci limitano, come un denso strato di nuvole grigie ci preclude la vista del cielo, solo così potremo imparare davvero.

Allo stesso modo in cui si pulisce una tazza prima di versarci un buon tè. Se si versa il tè senza prima pulire la tazza, infatti, per quanto il tè possa essere di prima qualità, il sapore ne risulterà sempre alterato.

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