
Nel regno domato dall’ineguagliabile Buddha Shakyamuni, a nord del Trono Adamantino dell’ India, al centro del continente meridionale di Jambudvipa, si trova la Valle d’Oro di Rebkong dove Jetsun Kalden Gyamtso, “Fortunato Oceano”, un’emanazione del sublime Avalokiteshvara, ha beneficiato innumerevoli esseri. A ovest si trovano le Terre Pure di U e Tsang dove il Buddha Amitabha e Padmapani si sono emanati come i Vittoriosi dalle vesti color zafferano Padre e Figlio.
A nord, in Dome, si trova la montagna Tsongkha Kyeri, il luogo di nascita del Secondo Buddha, il grande Tsongkhapa, che regna supremo sui tre mondi. Ci sono molti villaggi della Valle d’Oro di Rebkong, e gli abitanti sono intelligenti, coraggiosi e abili nelle scienze dell’arte religiosa, la medicina, e l’astrologia. Tutti provano gioia nel praticare il Dharma.1
Shabkar Tsokdruk Rangdröl
Rebkong (cin. Tongren) si trova nella provincia del Qinghai, in quella zona che di solito i tibetani chiamano Tshongön2 e i mongoli Kökönor. Tutti questi termini vogliono dire “lago azzurro”, infatti in questa zona si trova il lago d’acqua salata più grande della Cina.
Nella letteratura tibetana Rebkong è chiamata la “Valle Dorata” per via delle Montagne Dorate e della Pietra Dorata presenti nella sua topografia.
E’ situata appena a sud del Fiume Giallo (tib. Machu),3 nella parte centrale dell’Amdo (Tibet nord-orientale), a sud di Tsongkha e per questo può essere definita “il cuore dell’Amdo”.
Anche se originariamente comprendeva un’area molto più estesa di quella attuale, oggi si trova a circa 185 km a sud di Xining ed è il capoluogo della Prefettura Tibetana Autonoma di Malho (cin. Huangnan).4
Nelle sue pianure e valli, vive gran parte della popolazione di questa regione. E’ abitata per lo più da agricoltori ma ci sono anche alcune comunità di nomadi sugli alti pascoli ai margini delle valli.
Anche qui, come in molte altre parti del Tibet, è presente la duplice economia agricoltura-allevamento ma la prima è senza dubbio quella prevalente.
I suoi villaggi e monasteri punteggiano la fertile e sinuosa valle del Guchu, ricca di campi coltivati e sottili alberi da frutta, che si estende per alcuni chilometri collegandosi a valli più piccole.
Il fiume Guchu l’attraversa da sud a nord passando per Dzongmar, Dardzang, Jangkya, Rongwo, Nyenthok, Gomar, Tokya5 e sfocia poi nel Fiume Giallo a ovest di Jentsa. “Guchu”6 in tibetano significa “nove fiumi” perché le sue acque sono formate dai nove torrenti che affluiscono da nove valli adiacenti. Sulle montagne intorno e nelle valli che si diramano tutto intorno si trovano molti altri villaggi tra cui quelli di Shohong, Gyalwo Gang, Chuja, Changlung, Kude,7 ecc.
A Rebkong sono state costruite anche alcune fabbriche: una di queste è la grande fonderia di alluminio di Tokya che inquina pesantemente questa parte della valle.
La via più veloce per raggiungere Rebkong è quella che da Xining percorre un tratto dell’autostrada Lanzhou-Xining per poi dirigersi verso sud su una strada che, a ridosso di ripide montagne rosse e ocra sfumate di grigio, costeggia in alcuni tratti il Fiume Giallo. Qui le acque del fiume sono limpide e cristalline e non hanno ancora assunto quel colore ‘giallo’ che di solito le caratterizza. D’estate le montagne sono ricoperte da un sottile strato d’erba verde chiaro che d’inverno si secca dando alla zona un aspetto abbastanza arido e brullo.
Quella che si percorre oggi è la strada nuova, finita di costruire solo poco tempo fa.
La vecchia strada si trova ancora qualche decina di metri più in basso e sta per essere allagata.
Già sono state allagate vaste aree delle valli sottostanti e sono state create dighe allo scopo di produrre energia idro-elettrica come in molti altri posti del Tibet (Vedi I Lha, gli Nyen e i Lu).
In questa zona il Fiume Giallo ha l’aspetto di un placido lago verde-azzurro che si estende tra le montagne. Pochi chilometri a ovest di Jentsa lo si attraversa e si imbocca la strada che porta fino a Rongwo risalendo il corso del Guchu e dopo alcuni chilometri si entra nella bassa valle del Guchu all’altezza di Tokya dove in lontananza, a ridosso delle montagne, si scorge la città di Rongwo.
Un’altra via per raggiungere Rebkong è da Labrang cittadina nei pressi dell’alto corso del fiume Sangchu a circa un centinaio di km a sud-est di Rebkong. La contea di Labrang (cin. Xiahe) si trova nella Prefettura Autonoma Tibetana di Gannan, nella provincia del Gansu, ed è il nodo dove convergono tutte le strade provenienti dall’Amdo sud-orientale: da Jigdril,8 nel Golok meridionale, da Ngawa, Dzoge, Machu e Luchu,9 prima di arrivare a Lanzhou o Xining. Dopo essere passata per le praterie di Gangya, nell’ultimo tratto questa strada attraversa l’area di Shohong e passa per una gola chiusa tra montagne rosse dalle pareti scoscese che a causa dell’erosione hanno assunto strane forme levigate, simili a quelle di un canyon.
La città di Rongwo
Rongwo si trova al centro della valle ed è il centro abitato più grande nonché sede centrale dell’amministrazione di Rebkong e di tutta la Prefettura di Huangnan. E’ una moderna e tranquilla cittadina di provincia in stile cinese, con i soliti edifici a più piani di mattoni rivestiti di piastrelline bianche o di intonaco cementizio grigio che le conferiscono un aspetto trasandato e fatiscente. Grandi ideogrammi cinesi spiccano a colori vivaci sulle finestre dai vetri sottili e sulle insegne dei negozi, a volte accanto a scritte in tibetano.
Durante le festività più importanti, soprattutto nel periodo del capodanno, lungo le vie principali c’è sempre una frenetica attività commerciale perché i contadini dei villaggi circostanti e i nomadi dei pascoli più remoti si riversano in città per assistere alle celebrazioni e per comprare o scambiare gli alimenti e le merci di cui hanno bisogno.
Come in tutta questa zona, a Rongwo convivono molte etnie differenti, i cui rapporti, almeno in passato, non sono sempre stati armoniosi: i cinesi han, i tibetani e i musulmani hui e salar.10

Anche se per le strade sembrano esserci quasi esclusivamente tibetani e alcuni musulmani, in realtà i cinesi costituiscono la maggioranza e occupano quasi tutti i posti di rilievo negli uffici e nell’amministrazione. Questo perché molti tibetani abitano nei villaggi vicini e vengono in città solo per lavorare, divertirsi o fare compere, per poi tornare a casa la sera.
I musulmani hanno in mano buona parte delle attività economiche: si occupano soprattutto della macellazione degli animali e della vendita della carne, gestiscono piccoli ristoranti e zahuodian, negozi in cui si trova praticamente di tutto, dagli alimenti agli articoli di ferramenta e di merceria.
L’attività dei tibetani consiste invece per lo più nella vendita di monili e gioielli, pietre ornamentali anche preziose come i coralli, artigianato a carattere religioso (statue, thangkha,11 ecc.) e inoltre nella vendita di stoffe, feltri, cappelli, tappeti e chuba, i vestiti tradizionali con le maniche molto lunghe di feltro o pelle, a volte imbottiti di pelo.
Spesso sono occupati anche nella gestione di ristorantini, che sono dei veri e propri punti di aggregazione. Qui infatti i visitatori occasionali trascorrono molto tempo guardando i video dei cantanti locali e sorseggiando tazze di tè fumanti.
Per via della modernizzazione apportata dai cinesi, oggi Rongwo è una moderna cittadina di provincia con strade rettilinee che si intersecano ad angolo retto, a differenza della maggior parte dei nuovi insediamenti, caratterizzati da una impostazione lineare (abitazioni costruite lungo un’unica strada principale). Le vecchie case di argilla e paglia che costituivano l’antico villaggio sono ancora visibili nei pressi del monastero Rongwo Gönchen.
Rongwo Gönchen oggi è situato nella parte sud, sul lato destro della strada che attraversa la città e prosegue in direzione di Tsekok. Originariamente era un monastero Sakyapa.
Il primo complesso degli edifici fu costruito nel 1301 dal maestro Sakyapa Samten Rinchen, nipote di un emissario di Drögon Chögyal Phakpa.12 Verrà ricostruito pochi secoli dopo da Shar Kalden Gyatso13che lo farà diventare un monastero Gelugpa.

Rongwo Gönchen è il più importante monastero di Rebkong14 e può essere considerato il terzo monastero Gelugpa più importante dell’Amdo. E’ composto di nove padiglioni e attualmente conta circa quattrocento monaci. Durante la rivoluzione culturale gran parte del monastero fu distrutta e oggi molti padiglioni sono stati ricostruiti usando materiali nuovi. Solo i vecchi edifici conservano lo stile tradizionale in muratura. Alcuni lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, come ad esempio quelli lungo certi tratti della khora, la strada che gira intorno al perimetro del monastero percorsa dai fedeli durante la circoambulazione rituale.15

Mentre le ristrutturazioni esterne sono state fatte in modo abbastanza grossolano, all’interno i padiglioni sono stati ristrutturati magnificamente: le sale sono state adornate con statue e pitture murali di nuova fattura ma dal grande valore artistico. Rebkong è infatti conosciuta per i suoi artisti, in particolare per la straordinaria bravura dei suoi pittori, famosi in tutto il Tibet, al punto che a molti di questi vengono commissionati lavori anche nei monasteri di altre zone e rimane ancora oggi un importante centro di formazione artistica.
L’ottava manifestazione del Rongwo Kyabgön Shartsang, il lama principale, ha oggi poco più di vent’anni, conosce perfettamente sia il tibetano che il cinese e ha fama di avere grande compassione e saggezza.
La sua immagine compare un po’ dappertutto a Rebkong, nei negozi, nelle case private della gente, nei monasteri Gelugpa e nei santuari dei ngakpa (ngakkhang) disseminati nella valle e in cima alle montagne.
Tutti a Rebkong riconoscono la sua autorità, indipendentemente dalla tradizione religiosa a cui appartengono.
Agli inizi del XVIII venne fondato Labrang Tashikyil16 nell’alta valle del Sangchu, tra le praterie di Sangke e Gangya. Il nuovo monastero diventò presto il centro di formazione di geshe mongoli e buriati. La sua fama crebbe enormemente e con essa, la sua sfera di influenza che si estese sempre di più.
Probabilmente fu allora che Rongwo Gönchen e Labrang Tashikyil entrarono in competizione per il controllo delle aree circostanti, dando inizio a quella rivalità che ho percepito, ancora oggi, nella mentalità della gente e che è all’origine di molte storie strane che mi hanno raccontato sia a Labrang e sia a Rebkong.17
Casa di un villaggio lungo la strada di Gyawo Chuja (foto di Andrea Casetti).
I villaggi
I villaggi di Rebkong si trovano sia a valle che sui pendii e le cime delle alture che circondano Rongwo e sono costituiti da poche decine di case raggruppate e collegate fra loro da viottoli sterrati.
Quasi ogni villaggio ha un santuario (tib. lhakhang) dove, in alcuni giorni del calendario tibetano, i ngakpa svolgono cerimonie e partecipano alle pratiche collettive a cui sono presenti praticamente tutti gli abitanti. Questo è il centro della vita sociale e religiosa: la gente, infatti, non solo si raduna qui per le cerimonie o per fare le circoambulazioni ma si incontra anche all’interno del cortile o fuori dall’ingresso per conversare amichevolmente. A fare questo sono soprattutto gli anziani che di tanto in tanto interrompono il loro bisbigliare mantra per scambiarsi qualche parola, continuando però a strofinare la mala tra pollice e indice.
Il santuario ha generalmente l’ingresso che si affaccia in un piccolo cortile da dove si accede alla sala vera e propria. Il tetto è a volte leggermente spiovente e rivestito di tegole secondo lo stile architettonico tradizionale dell’Amdo che, soprattutto negli edifici religiosi, risente molto spesso degli influssi di quello tradizionale cinese.
In un villaggio di ngakpa il santuario è chiamato ngakkhang che letteralmente si traduce come “stanza o casa dei ngakpa” ma che definisce il padiglione delle pratiche tantriche.
Ci sono poi anche i manikhang, edifici che solitamente contengono una o più grandi ruote di preghiera le cui dimensioni possono variare da quelle di una piccola cella a quelle di un comune santuario.18Le abitazioni tradizionali sono fatte di un impasto essiccato di argilla mista a paglia che le rende resistenti al freddo e alle intemperie e sono sorrette all’interno da pilastri e travi di legno.19All’interno le pareti e il pavimento di alcuni dei locali, tra cui la cucina, sono interamente rivestiti di legno, altri semplicemente di intonaco, piastrelle o cemento crudo. La porta d’ingresso dà in un cortile intorno a cui sono disposte a ferro di cavallo le varie stanze. Ad alcune di queste si accede dall’interno, mentre ad altre direttamente dal cortile.20
Nelle case non c’è acqua corrente e a valle, nei villaggi più bassi, questa viene raccolta da pozzi o pompata in superficie per mezzo di impianti idrici rudimentali. Quando un villaggio si trova in alto o in montagna l’acqua viene raccolta direttamente dalla sorgente con grandi taniche di plastica. Questo lavoro spetta quasi esclusivamente alle donne che spesso percorrono lunghi e faticosi tragitti portando pesanti carichi sulla schiena. L’acqua viene poi portata dal pozzo o dalla sorgente all’interno delle case dove viene conservata in grandi contenitori di terracotta o di altri materiali. E’ considerata preziosa e se ne fa quindi un uso molto parsimonioso.
Le strade e i sentieri che portano ai villaggi più alti sono sterrati e difficilmente percorribili, attraversano piccoli torrenti e salgono curvandosi lungo i pendii, verso le cime dei monti. La gente di solito le percorre con le moto che sono diventate ormai i nuovi cavalli del Tibet, o con dei piccoli trattori ma c’è ancora chi le percorre a piedi o a dorso di mulo.La scuola di un villaggio nei pressi di Gönlaka è l’unica nella zona e i bambini ci arrivano a piedi dai villaggi circostanti e poiché alcuni di loro devono camminare per ore, le lezioni cominciano nel primo pomeriggio.
A Rebkong l’economia è prettamente agricola e i prodotti più coltivati sono l’orzo, il grano, la senape e le patate, mentre dagli alberi vengono raccolte anche delle pere e delle piccole mele. Durante l’inverno, le pere vengono consumate dopo essere state per lungo tempo esposte al sole. La buccia e la polpa di questi frutti viene fatta maturare a tal punto da assumere un colore marrone scuro ma il clima freddo fa sì che il frutto si conservi senza andare a male.
Anche qui la maggiore fonte di guadagno è costituita dalla vendita del Cordiceps sinensis.
Ecco grosso modo come si articola la vita di un contadino della zona nell’arco di un anno stando a quanto mi è stato riferito dal ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja e da alcuni abitanti del villaggio di Jangkya:
1) Verso la metà del secondo mese del calendario tibetano avviene la semina.
2) Nel periodo che va dalla metà del terzo alla metà del quarto mese molti si spostano verso sud piantando le tende sui pascoli dei nomadi di Tsekok e Sokwo per la raccolta dello Cordiceps sinensis.
3) L’ottavo mese vengono raccolti i prodotti della terra.21
Jangkya
Dalla città la strada sale verso sud, si lascia alle spalle il grande monastero e la scuola superiore Minshi22 e dopo alcuni chilometri si insinua tra le montagne più vicine.
Per un po’ disegna una fila di curve poi torna di nuovo rettilinea e continua per altri chilometri risalendo il corso del Guchu che ora scorre a sinistra, poco più in là.
Rongwo è ormai scomparsa dietro le montagne e l’impressione è quella di trovarsi in un altra valle più piccola, stretta e lunga. Infatti la particolare disposizione delle montagne crea un’illusione ottica per cui la stessa valle, a seconda delle diverse prospettive, sembra frantumarsi in tante altre piccole valli. A destra appare un chörten bianco e la strada passa sotto un arco improvvisato su cui sventolano bandiere del lungta23 dai cinque colori: siamo prossimi al villaggio di Jangkya. Spesso in Tibet, lungo le vie che conducono ai villaggi, vengono costruiti chörten e issate le bandiere con il lungta o con altre preghiere, mantra e invocazioni e la loro funzione è quella di proteggere e garantire la prosperità del luogo.
In Tibet ogni zona, ogni piccolo paese ha un “signore del luogo”, uno spirito che solitamente è una divinità guerriera associata ad una particolare montagna.24
Jangkya è il primo villaggio che si incontra lungo la strada. Le sue poche abitazioni d’argilla scendono dolcemente verso il Guchu dai piedi del monte Amnye Mokri. Amnye Mokri è il signore del luogo, la divinità tutelare di Jangkya, un cavaliere dal volto rosso con l’elmo e le armi dei guerrieri. Il suo “supporto”, o labtse,25 si trova sulla cima della montagna che sovrasta il villaggio. Qui ogni anno, nei primi giorni del primo mese del calendario tibetano, Amnye Mokri discende nel corpo del lhaba,26 una sorta di medium popolare, un uomo del villaggio adatto a ospitare la divinità, che parla tramite lui.27 In quei giorni la gente del villaggio si riunisce nel ngakkang dove il lhaba dà responsi e previsioni sul futuro (Vedi Incontro con Amnye Mokri)28
Il ngakkhang di Jangkya si trova su un lato dell’unica strada asfaltata, vicino alla scuola ed è un basso padiglione a cui si accede salendo pochi gradini, circondato da alcune ruote di preghiera. All’interno del santuario il pavimento è fatto di assi di legno e sulle pareti sono affisse pitture e thangkha, la maggior parte delle quali è recente. Ne rimangono solo alcune antiche, sfuggite ai saccheggi e alle distruzioni degli anni Sessanta perché nascoste sul monte Amnye Mokri.29
La tradizione vuole che, nei pressi di questo villaggio, Guru Padmasambhava uccise una sinmo,30 uno dei tanti demoni ed entità malefiche che dimoravano in queste terre.31 Un masso sull’altra riva del Guchu dalla strana forma concava, testimonia questo scontro. Qui, infatti, è ancora impressa l’impronta del corpo del demone.32
A Jangkya dovrebbero esserci alcune decine di ngakpa ma io ne ho visti poco meno di dieci, di cui tre anziani.
Una delle famiglie più prestigiose del villaggio è quella di Tapagya. Come suo padre, Tapagya è un ngakpa.33La sua è una famiglia di ngakpa da almeno sette generazioni e per questo è una delle più prestigiose del villaggio.

Changlung
Da Jangkya si attraversa il fiume e si continua a salire verso est, lungo una stradina che si inerpica sull’altro lato della valle. A un certo punto si incontrano alcune case su un pendio terrazzato: il villaggio di Changlung (nel dialetto locale Shyanglung). Sul monte che lo sovrasta si trova l’eremitaggio dove Palchen Namkha Jigme trascorse lunghi periodi in ritiro, dedicandosi alla pratica del thögal34 ed ebbe molte visioni di divinità e di esseri realizzati tra cui e lo stesso Guru Padmasambhava e il dharmapāla Rāhula. 35
Gyawo Chuja
E’ nascosto dalla cima di Gyawo Gang sul lato est della valle del Guchu e la sua sagoma si scorge appena dal Rongwo Gönchen. La strada che vi giunge penetra in una stretta gola dove scorre un piccolo torrente, sulla parete di roccia a sinistra e su alcuni massi caduti sono visibili delle macchie color ruggine. Secondo la tradizione popolare, Guru Padmasambhava uccise qui un’altra sinmo scagliandole contro il suo dorje. Il sangue della demonessa si riversò un po’ ovunque sulle pietre e il suo corpo prese fuoco. Rimangono ancora alcuni frammenti scuri incastonati nella roccia che si dice siano i resti carbonizzati della sinmo.36
La strada riprende a salire per i tornanti della montagna e dopo un po’ di tempo, davanti agli occhi comincia a comparire Gyawo Chuja.

Le case del villaggio sono aggrappate al pendio o sparpagliate tutto intorno circondate dai campi a terrazza. Qui, nonostante l’altitudine sia maggiore rispetto a Rongwo, le montagne sembrano delle piccole colline dai contorni lievi.
In questa zona ci sono sette villaggi di ngakpa e tutti sono preceduti dalla parola Gyawo (Gyawo Chuja, Gyawo Gang, ecc.), Gyawo Chuja è tra questi quello più importante. “Gyawo”37 in tibetano vuol dire re e infatti una leggenda narra che in questa zona visse l’antico re dell’Amdo.
La gente del luogo tramanda diverse storie di personaggi dai poteri straordinari. Qui vissero famosi mahāsiddha come Drubchen Nyimai Khorlo, Kawa Metok Charbep, Achag Yama Mebud. Si dice che un giorno i tre si incontrarono e pensarono si preparare il tè ma non avevano il fuoco. Subito Achag Yama Mebud fece scaturire magicamente il fuoco da alcune pietre. A quel punto un altro disse che avevano il fuoco ma non avevano l’acqua. Kawa Metok Charbep fece cadere la pioggia ma il sole stava tramontando e i tre yogi avrebbero dovuto continuare a bere il tè nell’oscurità, così Drubchen Nyimai Khorlo fermò il sole, inchiodandolo con il suo phurba sul terreno.38
Gyawo Chuja è il villaggio dove nacque lo yogi Rigdzin Palden Tashi, considerato dai suoi discepoli il re della tradizione dei ngakpa Nyingmapa: “Alak Gyawo”.
Gli spiriti della montagna del luogi sono Taklung Lhagöd Thuchen e Jomo Menmo, sua consorte.
Un giorno un antenato di Rigdzin Palden Tashi conosciuto con il nome di Namkha Gyaltsen, andato a raccogliere delle erbe medicinali sulla montagna, provocò queste entità che reagirono scagliandogli contro dei fulmini. Namkha Gyaltsen li raccolse prontamente con il lembo del vestito dopodiché fece scivolare i frammenti di ferro incandescenti che erano rimasti su una pietra che stava lì accanto e questa si dissolse. Vicino al villaggio, a Khandro Drora, il posto delle dākinī danzanti, si trova la caverna di Taklung Shelgi Riwo dove si dice che un famoso yogi abbia raggiunto il corpo di arcobaleno. 39
Attualmente Gyawo Chuja conta circa una cinquantina di ngakpa, il più anziano dei quali ha passato i novant’anni. Nella parte alta del villaggio vicino alla casa del ngakpa più anziano si trova un ngakkhang e un manikhang. Il ngakkhang, Rigdzin Ramphel Ling, è una piccola costruzione quadrata di argilla essiccata e legno, dai muri tinti di bianco e il tetto ricoperto di tegole grigie che, in pessime condizioni fino a poco tempo fa, è stato di recente restaurato. Ai tempi di Rigdzin Palden Thashi esisteva già un ngakkhang più piccolo che lui ha poi ampliato e rinnovato.40

Shohong Nyengya41
Da Rongwo si segue il corso del Guchu verso nord e giunti all’altezza di Tokya si prosegue per Labrang. Dopo alcuni chilometri si entra in una gola. Tutto intorno le montagne dai contorni ondulati, che facevano da scenario al fiume Guchu, diventano alti picchi levigati. Gli agenti atmosferici sembrano aver modellato la roccia dando a queste cime dalle varie tonalità di rosso, delle forme bizzarre. Questa è la terra di Shohong famosa per i suoi “ngakpa dal puro samaya e dall’irremovibile fede nel Mantra Segreto della Tradizione Antica”,42 terra che ha dato i natali a grandi personaggi il cui ricordo rimane nel cuore di tutti i suoi abitanti: lo yogi Shabkar Tsokdruk Rangdröl (1781-1851) da molti considerato una manifestazione di Jetsun Milarepa e Gendun Chöpel (1903-1951), uno dei più grandi scrittori tibetani del secolo scorso, figlio di Ngakchang Dorje Namgyal (1888-1908), la quarta manifestazione di Alak Gyawo.
Qui a valle dove scorre un piccolo torrente e sui versanti dove si ode il sibilio del vento sono dislocati otto villaggi43 e si erge Yama Tashikyil, dove meditarono Shar Kalden Gyatso, Shabkar Tsokdruk Rangdröl, Pema Rangdröl e molti altri maestri.


Ai piedi della montagna sacra Amnye Jadrön c’è Nyangya:44 il villaggio di Shabkar che nella sua autobiografia lo descrive così:
Nelle vicinanze si trovano gli Otto Luoghi dei Realizzati di Rebkong e molti luoghi sacri dove una volta aveva praticato Lord Kalden Gyatso. Il più eminente di questi luoghi sacri è Shohong Lakha , il palazzo reale di Chakrasamvara, situato nei pressi del tempio di Chuchik Shel.
Entrambi contadini e nomadi vivono in questa terra di rupi, foreste e prati fioriti. Qui, seguendo la pratica di Chakrasamvara e Vajrayogini, il grande praticante tantrico conosciuto come Kawa Dorje Chang Wang, che era venuto dall’Orientale Kathok, ha raggiunto il corpo vajra di arcobaleno in una singola vita.
In questa regione, dieci villaggi di varie dimensioni sono sparsi in tutte le direzioni. Tra questi c’è Nyengya, un villaggio ai piedi della dimora montana della divinità locale Jadrön. Questa è la mia terra.45
Le abitazioni di Nyangya sono costruite su un dolce pendio terrazzato che sovrasta un’ampia vallata. La massiccia cima piatta di Amnye Jadrön si eleva in questo paesaggio colorato e la sua vista mi richiama alla mente antichi potenti re.
Sulla parete perpendicolare di questa montagna c’è una grotta dove Shabkar si ritirò in meditazione e dove altri hanno meditato dopo di lui. Sotto la stata c’è un altra cella dove oggi, di tanto in tanto, monaci e ngakpa vengono a meditare.
Vicino il muro di cinta di una delle case al limitare del villaggio, sorge uno stūpa ricoperto di piastrelle bianche che conserva la statua di uno yogi in una nicchia della parte superiore. Questo era il luogo dove prima si trovava la casa della famiglia di Shabkar e dove lui nacque.


Poco lontano da Nyangya la strada scende percorrendo una stretta gola punteggiata qua e là da alberi dal fusto sottile dove si ode il gorgoglio di un piccolo torrente. Si cammina per un po’ lungo il corso dell’acqua e poi si sale verso una piccola altura dove si vede una costruzione di modeste dimensioni situata in una posizione isolata. Questo è il ngakkhang dove Shabkar cominciò a studiare il Dharma.
L’edificio è stato ristrutturato da poco usando materiali nuovi più resistenti: i muri di argilla e paglia sono stati rimpiazzati da muri di mattoni e in alcuni punti della struttura è stato impiegato anche del cemento. All’interno le travi e le colonne portanti sono state rinnovate di recente ma molte devono ancora essere ridipinte. Al secondo piano dell’edificio, lungo uno stretto e scricchiolante ballatoio, c’è una statua di Shabkar e due piccoli stūpa di metallo disposti ai due angoli. Quello di destra dovrebbe contenere alcuni resti del grande yogi di Nyengya.46 Da circa un anno un giovane ngakpa è in ritiro in questo ngakkhang.
Il video delle foto delle miei viaggi tra i ngakpa di Rebkong e Hongyuan nel 2005-2006 è qui.

1 Within the realm tamed by the peerless Buddha Shakyamuni, north of the Diamond Throne of India, the center of the southern continent of Jambudvipa, lies the Golden Valley of Rekong where Jetsun Kalden Gyatso, “Fortunate Ocean”, an emanation of the sublime Avalokiteshvara, benefited countless beings. To the west lie the Pure Realms of U and Tsang where the Buddhas Amitabha and Padmapani emanated as the saffron-clad Victorious Ones-Father and Son.
To the north, in Domey, stands the mountain Tsongkha Kyeri, the birthplace of the Second Buddha, the great Tsongkhapa, who reigns supreme over the three worlds. There are many villages of the Golden Valley of Rekong, and the inhabitants are intelligent, courageous, and skilled in the sciences of religious art, medicine, and astrology. All take delight in practicing the Dharma.
Cfr. Shabkar Tsokdruk Rangdröl. Ricard 1994, op. cit., p. 15. Traduzione dall’inglese di Andrea Casetti.
2 mTsho sNgon.
3 rMa chu.
4 La Prefettura di Huangnan è costituita da quattro distretti (cin. xian): Jentsa (cin. Jianzha), Rebkong (cin. Tongren) , Tsekok (cin. Zeku) e Sokwo (cin. Henan). Jentsa ha una popolazione di 49158 abitanti in un area di 1601 kmq; Rebkong ha una popolazione di 75038 abitanti in un area di 3353 kmq; Tsekok ha una popolazione di 53249 abitanti in un area di 6858 kmq. La Contea Autonoma dei Mongoli di Sokwo (Henan Menggu Zizhi Xian) si trova poche decine di chilometri a sud-est di Tsekok e conta 30134 abitanti. Come a Tsekok, anche qui gli abitanti sono nomadi. La maggior parte della popolazione è di etnia mongola ma ormai quasi del tutto assimilata ai tibetani dell’Amdo.
Hanno però conservato alcuni caratteristiche peculiari dei mongoli: la tenda circolare ger e vestiti e gioielli, leggermente diversi. Quasi tutti parlano tibetano e pochi hanno preservato il mongolo. Comunicazione orale Nyida Chenagtsang (Roma, 2005). Cfr. Gyurme Dorje, Tibet , Footprint (terza edizione), pp. 599, 604, 610, 613.
Secondo alcuni tibetani, anticamente il nome Rebkong si riferiva a tutta quella che è oggi la prefettura di Huangnan, comprendendo quindi anche Jentsa (gCan tsha) e Tsekok (rTse khog) e Sokwo (Sog bo) e includendo anche l’area di Trika. Così mi è stato riferito da Hungchen Cenagtsang e da più di una persona del posto (Xining, Rebkong, 2006).Il distretto di Rebkong oggi è diviso in undici contrade (xiang). Tre di queste sono abitate da nomadi mentre la altre otto da agricoltori. Comunicazione di un insegnante di Jangkya confermatami poi da altri locali.
5 sCang skya; Rong bo; Nyan thog; sGo dmar; Tho rgya.
6 dGu chu.
7 Zho ‘ong (localmente pronunciato Zho’phong); rGyawo sGang; rGyawo Chu ca; sPyang lung; Ko’u sde.
8 gGig sgril.
9 mZod dge; kLu chu. Ad eccezione di Ngawa sono tutte zone di nomadi.
10 Cfr. Berzin A. “Historical Sketch of the Muslim in China”, 4 – 1995. www.berzinarchives.com .
11 Pitture su tela raffiguranti divinità, mandala, grandi maestri, ecc. Possono essere anche composte con vari pezzi di seta colorata. Le tangkha di Rebkong sono molto famose in Tibet.
12 Drogön Chögyal Phakpa (1235-1280) era il precettore imperiale di Qubilai Qan e con il suo appoggio dominò su vaste aree del Tibet. Il suo potere giunse fino nel Kham e nell’Amdo sfidando le confederazioni tribali e i regni orientali che godevano di una certa indipendenza. In Tibet sotto il protettorato mongolo, nonostante il potere nominale fosse nelle mani dei qan, quello effettivo era nelle mani dei Sakyapa. Cfr Cornu P. 2003, op. cit.; Davenport J. T., Ordinary Wisdom, Sakya Pandita’s Treasury of Good Advice, Boston: Wisdom Publication 2000, pp. 1-4.
13 Jetsun Kalden Gyatso o Drupchen Kalden Gyatso (1607-77), Rje btsun sKal ldan rgya mtso o Grub chen sKal ldan rGya mtso. Un grande maestro considerato un’emanazione di Śāripūtra, autore di bellissime poesie e canti di realizzazione e il suo stile di vita e i suoi insegnamenti influenzarono molto quelli di Shabkar Tsokdruk Rangdröl e di altri maestri di Rebkong. Era conosciuto come Kalden Repa (sKal ldan Ras pa) e Kachu Rinpoche (bKa’ bcu Rin po che). Nel 1648 fondò il centro di ritiro di Thashikyil (bkra shis ‘khyil sgrub sde). Il suo maestro Chöpa Rinpoche Lobzang Tenpai Gyaltsen (1581-1659), Chos pa Rinpo che bLo bzang bsTan pa’i rGyal mtshan, fu un’altro famoso eremita. Cfr. Ricard 1994, op. cit., pp. 21-22.
14 Vedi ‘Jigs med Theg mchog, Rong bo don chen gyi gdan rabs rdzogs ldan gtam gyi rang sgra zhes bya ba bzhugs so, Qinghai: Mi rigs dpe skrun khang 1988.
15 Lungo la khora stanno restaurando le file di ‘ruote di preghiera’ che vi sono affisse. Queste sono dei rulli di varie dimensioni con all’interno scritture e mantra che vengono fatte girare dai fedeli e sono solitamente chiamate Mani-khorlo (nel Bön, matru-khorlo, infatti in questa tradizione il mantra più usato non è il “Mani”: Om Mani Padme Hum ma è, come lo chiamano i fedeli, il “Matri”: Om Matri Muye Sale Du/ Om Ma Tri Mu Ye Sa Le ‘Du ). Cfr. Stein R. A., op. cit., p. 211.
16 Labrang Tashikyil (Bla brang bKra shis dkyil) è il monastero più potente dell’Amdo fondato nel 1708-10 dal primo Jamyang Shepa, Ngawang Tsongdru (1648-1722) sotto il patronato del principe dei mongoli Qosot Wang Gyalpo Junang Tsewang Tendzin. Comunicazione orale di un anziano di Labrang. (Labrang, 2005). Cfr. Ricard 1994, op. cit., p.365-367; Cornu P. 2003, op. cit., p. 317.
17 Comunicazione orale di Nyida Chenagtsang, Hungchen Chenagtsang, di altri ngakpa di Rebkong e alcuni anziani di Labrang. (Roma, Xining, Rebkong, Labrang 2005-2006).
18 Non esiste una parola specifica in italiano che possa tradurre il termine tibetano lhakhang, che sarebbe una stanza o costruzione khang dove sono poste delle immagini o statue di divinità lha, lo stesso vale per manikhang che è una costruzione dove è posta una ruota di preghiera mani khorlo, o per ngakkhang, una costruzione dove si pratica il Tantra ngak o dove si riuniscono dei praticanti tantrici, ngakpa (il Dott. Nyida Chenagtsang usa il termine ngakpa house o “casa di ngakpa”). In tutti è tre i casi ho scelto come traduzione la parola santuario dall’inglese “shrine room” o “shrine hall” che, a mio parere, è più comunemente usato e facilmente comprensibile. Nei villaggi che ho visitato mi è sembrato che spesso i tibetani non fanno molte distinzioni tra lhakhang, ngakkhang e manikhang.
19 Un anziano del villaggio di Jongmang a Ngawa mi ha riferito che i muri esterni delle loro case devono essere rafforzati applicando del nuovo impasto ogni tre o quattro anni per evitare che la casa ceda. (Jongmang, 2006).
20 Questa è solo una descrizione generale, bisogna tener presente infatti che alcuni elementi, quali la disposizione dei locali, l’arredamento e i materiali usati per il rivestimento, possono variare a seconda delle zone, delle caratteristiche dell’ambiente e della situazione economica del villaggio o dei singoli proprietari. La tipologia dei villaggi e delle case dei contadini del nord dell’Amdo resta comunque più o meno la stessa.
21 Tutte queste informazioni mi sono state riferite dai ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja, e da alcuni abitanti del villaggio di Jangkya (Gyawo Chuja, Jangya, 2006).
22 “Normale delle Minoranze”.
23 Le bandiere del lungta o “cavallo di vento”, rituale che ha la funzione di trasferire dalla negatività alla positività, dalla sfortuna alla fortuna, tutto ciò che è basato sui cinque elementi. Sono di cinque colori e su ognuna di esse è raffigurato il cavallo di vento circondato da altri quattro animali: la tigre, la leone delle nevi, il garuda e il drago. Ogni animale è associato ad un elemento ed ogni elemento a un colore: cavallo-spazio, tigre-vento, leone-terra, garuda-fuoco, drago-acqua. Cfr. Namkhai Norbu 1996, op. cit., pp. 130-136.
24 Un entità non umana, se provocata può causare gravi calamità e malattie. Se invece viene onorata, questa entità può garantire prosperità alla zona, diventandone il protettore. Molto spesso il signore del luogo è associato ad una montagna ma dove non ci sono alture può essere anche una pianura, un albero, una pietra, ecc. Il signore del luogo molto spesso è una divinità mondana e i benefici che arreca sono parziali, limitati solo a questa vita. Infatti, nonostante sia molto potente, come gli altri esseri senzienti, è condizionato dalle emozioni negative e prigioniero del saṃsāra. Cfr. Stein R. A.1986, op. cit., pp. 174 -183.
25 I labtse (la btsas, la rdzas) sono dei grossi mucchi di pietre o altari in muratura su cui vengono conficcati bastoni e copie lignee delle armi degli antichi “dei guerrieri”, soprattutto frecce e lance. A questi bastoni vengono appese o avvolte le variopinte bandiere del lungta, batuffoli di lana bianca e katak. Gli altari possono essere sia a base circolare che a base quadrata. Vengono eretti solitamente sulle cime delle montagne o vicino ai passi montani. Sono anche chiamati pamkhar (dpa’ mkhar) “castelli di guerrieri” e costituiscono il ‘supporto’ per onorare le divinità del luogo. Cfr. Stein R. A. 1986, op. cit., p. 176.
26 Cfr. Stein R. A. 1986 ivi, p. 158-160.
27 Alcuni ngakpa di Jangkya mi hanno riferito che è la divinità stessa a scegliere il medium (Jangkya, 2006).
28 Vedi Incontro con Amnye Mokri.
29 Comunicazione orale di un abitante del villaggio (Janggya, 2006).
30 Le sinmo (srin mo) o raksasi sono una potente classe di demoni femminili che mangiano carne umana. La sua versione maschile è chiamata sinpo (srin po) o raksasa. Ricard 1994, p. 672.
31 Qui a Rebkong si dice che Padmasambhava sia apparso in più luoghi e abbia sottomesso sinpo, sinmo e ogni sorta di esseri malvagi.
32 Vedi racconto in Appendice.
33 Diminutivo di Tamdringya (rTa mgrin rGyal) “Hayagriva il Vittorioso”. Tamdrin è il nome tibetano di Hayagriva. Gyal significa “vittorioso” e nel dialetto locale viene pronunciato gya. Nel lignaggio Nyingmapa la pratica di Hayagriva (uno degli Otto Heruka) è considerata molto importante e qui a Rebkong sono molti ad avere questo nome.
34 Thögal (thod rgal) la pratica più avanzata dello Dzogchen. Cfr. Ricard 1994, ivi., p 23.
35 Comunicazione orale di Ngakpa Wangdegya di Gyawo Gang (Khyung Gӧn, 2006).
Il “protettore del dharma” o dharmapāla (chökyong/chos skyong) è un entità che ha il compito di proteggere i praticanti e gli insegnamenti Vajrayāna e Dzogchen. Rāhula (Za/gZa) è una manifestazione di Vajrapāni che governa le forze planetarie ed è uno dei principali prottettori dei Nyingmapa e in particolare dell’insegnamento Dzogchen, insieme a Ekajaṭī e a Vajrasādhu o Dorje Legpa (tib. rdo rje legs pa).
Cfr. Cornu P. 2003, op. cit., pp. 159-166.
36 Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja (Gyawo Chuja, 2006).
37 Gyalpo (rgyal po) localmente pronunciato Gyawo.
38 Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering il Vecchio, l’uomo più anziano di tutto il villaggio. Questa storia mi è stata poi riraccontata più dettagliatamente da Nyida Chenagtsang. (Gyawo Chuja, Roma, 2006).
39 Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering il Vecchio (Gyawo Chuja, 2006).
Taklung Shelgi Riwo (sTag lung Shel gyi Ri bo), dove meditò Shelgi Ode Gung Gyal, uno degli Otto Grandi Realizzati di Rebkong. Cfr.Ricard 1994, op. cit., p. 22.
40 Comunicazione orale di Nyida Chenagtsang (Roma, 2006).
41 Zho ‘phong gNyan rgyal.
42 Cfr Ricard 1994, op. cit., p.18. La Tradizione Antica è quella Nyingmapa.
43 Nyintha, Chumar (Chu dmar), Gotse (Go tshe), Nyingya (gNyin rGyal), Shyeru (Phyed ru), Wönru (dPon ru), Kashul (Ga shul), e il paese di Gendun Chöpel: Shohong Shyi (Sho ‘phong dpyis). Così mi ha scritto il Professor Dorjegya docente di Lingua Tibetana alla scuola superiore Normale delle Minoranze di Rongwo (Rongwo, 2006).
44 I locali chiamano il villaggio Nyangya Ngogongma (gNyan rgyal Ngo gong ma).
45 Nearby are Rekong’s Eight Places of the Accomplished Ones and many hallowed spots where Lord Kalden Gyatso once practiced. The most eminent of these sacred places is Shohong lhakha, the actual palace of Chakrasamvara, located near the temple of Chuchik Shel. Both farmers and nomads live in this land of cliffs, forests, and flower-filled meadows. Here, by following the practice of Chakrasamvara and Vajrayogini, the great tantric practitioner known as Kawa Dorje Chang Wang, who had come from Eastern Kathok, attained the vajra rainbow body in a single lifetime. In this region, ten villages of various sizes lie scattered in all directions. Among these is Nyengya, a village at the foot of the local god Jadrön’s mountain abode. This is my homeland, the place of my birth. Cfr. Ricard 1994, op. cit., p.15.
46 Comunicazione orale di un ngakpa che era in ritiro nel ngakkhang (Shohong, 2006). Il ngakpa, inoltre, mi ha detto che lo scritto appeso alla parete era uno scritto di Shabkar e che, in un luogo nascosto, ci sarebbero stati anche il suo cappello di loto e il suo phurba. Hungchen Chenagtsang ha in seguito smentito questa ipotesi (Xining, 2006).













