La saggezza dietro le mura rosse

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Quando arrivai a Chengdu per la prima volta, quasi vent’anni fa, fui colpito, da come qui il Buddhismo e il Taoismo fossero ancora forti e vivi tra la gente, soprattutto tra gli anziani. Era estate e venivo dalla polverosa Cina del nord e, a parte il Fayuan Si a Xuanwu Men e un altro monastero a Xinjie Kou a Pechino, non avevo avuto l’impressione che il Buddhismo fosse così diffuso tra i pechinesi o i cinesi che avevo incontrato.

Mi ricordo di come nel monastero di Xinjie Kou parlai con un uomo di sessant’anni che mi disse che era la prima volta nella sua vita che metteva piede in un tempio buddhista.

Nel Sichuan rimasi stupito nel vedere come i templi buddhisti fossero vissuti, non solo come posti in cui pregare ma anche per altre attività ricreative. Nei loro cortili e giardini, infatti, ci si poteva incontrare per mangiare cibo vegetariano, bere il tè, giocare a carte o a majiang e cantare brani dell’opera locale. Questa loro tollerante accoglienza, in cui la spiritualità e la vita di tutti i giorni non erano mai così separate, faceva sì che in qualche modo ognuno, direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsapevolmente fosse a contatto con questo mondo. I buddha dalla penombra delle loro sale osservavano in silenzio la vita che si svolgeva all’interno di quelle mura rosse.

A Chengdu e nei dintorni ci sono tanti monasteri e templi buddhisti e taoisti, c’è la Montagna Emei, sacra al Bodhisattva Samantabhadra (cin. Puxian Pusa), la montagna taoista Qingcheng e il Grande Buddha di Leshan.

Nel centro della città ci sono il Monastero della Chiara Illuminazione, Zhaojue Si, il Monastero della Grande Compassione, Daci Si  e il Tempio della Capra Verdeil Qingyang Gong ma il mio preferito è quello che si trova tra le vie di Wenshu Fang piene di negozi, sale da tè e ristoranti a ridosso del lato nord del Primo Anello: il Monastero di Manjushri, il Wenshu Yuan.

Un altro tempio bellissimo è il Monastero della Luce dei Tre Gioielli, Baoguang Si che si trova a Xindu, un nuovo quartiere di Chengdu e che si affaccia su una grande piazza nuova. Il tempio custodisce alcune tra le poche reliquie del Buddha conservate in Cina e ha un grande giardino con uno stagno di fiori di loto, una tradizionale sala da tè all’aperto con sedie e tavolini di bambù e un padiglione dove ci sono delle statue a grandezza naturale dei Cinquecento Arhat (Wubai Luohan) e di altri bodhisattva.

Tanti anni fa Xindu era ancora una piccola cittadina a un’ora di autobus da Chengdu e al posto della piazza sulla strada che portava al Baoguang Si si affacciavano negozi con fuori esposti majiang dai mattoncini di vari colori (verde acqua, blu, fucsia, gialli, lilla ecc. ecc.). E’ stato qui che ho comprato il mio primo majiang ed è stato proprio su uno dei tavolini del giardino del tempio che ho imparato le regole di quel gioco e o iniziato a giocare, vicino ai fiori di loto, poco lontano dagli sguardi dei Cinquecento Arhat.

Il Wenshu Yuan però è sempre stato il “cuore” della città e, prima della costruzione di Wenshu Fang, si trovava in mezzo a viuzze strette, tra vecchi palazzi bassi. La sala da tè e il ristorante vegetariano del tempio erano tra i più frequentati e andavo sempre lì a mangiare o bere il tè.

In una delle mie visite avevo fatto amicizia con la coppia di anziani, marito e moglie, “custodi” del tempio che vivevano in una casetta piccolissima adiacente al muro di cinta accanto alla porta laterale. Non capivo molto quello che dicevano perché parlavano solo il dialetto locale e io ero uno studente di cinese alle prime armi ma loro sembravano capirmi abbastanza. La moglie era la più comunicativa, era lei che mi aveva adescato a uno dei tanti tavolini della sala da tè invitando me mia madre e un amico a prendere il tè nel cortiletto della sua casupola insieme al marito che aveva più di novant’anni. Ci aveva regalato delle medagliette dorate con l’immagine del Buddha della Medicina (Yaoshi Fo) e aveva tirato fuori per l’occasione, probabilmente molto rara e preziosa, dei biscotti scaduti. Quando la vidi per la prima volta muoversi tra i tavoli nel giardino vestita di nero e venirmi incontro, mi sembrò essere una maga.

Questo monastero è sempre stato per me un punto di riferimento, una culla di spiritualità, un posto dove caos e tranquillità sembravano stranamente coesistere ma dove anche il caos in fondo era permeato da una più vasta dimensione di quiete e contenuto in essa così come le nuvole sorgono e sono contenute nello spazio azzurro del cielo. In Cina è qui che sono sempre ritornato per riconnettermi con la saggezza di base della mia mente, rappresentata dal Bodhisattva Manjushri (cin. Wenshu Pusa). Con il tempo questo è diventato un rito e ancora oggi, ogni volta che arrivo a Chengdu, vado a rendere omaggio alla grande statua di Manjushri a quattro braccia che si trova nel giardino del monastero, all’ultimo piano della biblioteca.

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Questo infatti è uno dei segreti del Wenshu Yuan insieme alla reliquia del monaco Xuanzang e altre reliquie di Buddha e arhat conservate nei due lati dell’ultimo padiglione, quello del Vero Dharma (Zhen Fa), del Ruggito del Leone (Shizi Hou).

E’ così che, dopo aver ritrovato Manjushri, Il Vero Dharma e Il Ruggito del Leone, la mia mente è di nuovo forte e chiara. Sono di nuovo saggio e posso rilassarmi bevendo una tazza di tè al gelsomino in mezzo al caos dei giocatori di carte e di majiang mangiando semi di girasole.

Welcome to the Jingle

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Oggi dopo un breve riposino ho pensato alle cose pratiche da fare:

1) procurarsi una nuova scheda telefonica; 2) Andare a fare compere allo Wanda Shopping Plaza qui vicino.

The Philosopher’s Phone

Esco, attraverso la strada sulla quarta sezione del primo anello vicino alla pompa di benzina e arrivo al negozio della China Mobile.

Quando entro nel negozio vengo accolto, come accade spesso, da un gruppo di commessi giovani e disorientati che non sembrano capire molto quello che dico e non certo perché mi esprima male o non parli cinese correttamente.

Infatti un associazione mentale abbastanza comune in Cina è:

“lui è straniero, lui non capisce/non parla il cinese” oppure “lui è straniero, io non capisco/non parlo l’inglese” o ancora “lui è straniero, anche se comprende e parla il cinese, non capisce ugualmente perché è straniero.”

Questa associazione è immediata e automatica a prescindere da cosa tu stia dicendo o facendo. Non è sempre facile trovare qualcuno, soprattutto tra commessi, che ascolti la tua domanda fino alla fine senza risponderti in modo automatico e che, qualora la tua richiesta fosse difficile, ti proponga una seconda soluzione a meno che non sia tu a chiederla più di una volta.

“Posso ripristinare il mio vecchio numero?” “Ci vuole la carta d’identità!” “Ho il passaporto.” “No, ci vuole la carta d’identità!”

Dopo vengo a scoprire che dall’aprile di quest’anno gli stranieri a Chengdu, possono comprare una carta telefonica solo in pochissimi punti vendita della China Mobile in tutta la città.

Per proteggerci dalle sempre più numerose frodi telefoniche? Mah, me ne vado via nel dubbio.

Proverò con un altra compagnia, la China Unicom.

Uscendo vedo un chioschetto che vende giornali, riviste e bibite varie e provo a chiedere alla signora che sta guardando uno dei tanti telefilm cinesi su un piccolo schermo portatile.

“Sapete dove posso comprare la carta della China Uni…” Non ho ancora terminato la frase che…

“Non lo so!” Mi risponde in tono seccato, distogliendo a malapena lo sguardo dal televisore1 

1 A ogni “nuova regola” (xin gui ding) c’è un nuovo rimedio, a Tai Sheng Lu, delle persone che sostano sui marciapiedi vendono qualsiasi tipo di carta telefonica registrata con carte d’identità locali, solo per un po’ di soldi in più.

Welcome to the Jingle

Scoraggiato mi sono diretto al centro commerciale dove ho comprato un quaderno, delle penne e delle mutande (che poi ho scoperto avere più del 70% di poliestere) e ho girando un po’ tra i negozi illuminati e i lucidi corridoi scintillanti e vedendo per lo più marche occidentali.

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L’androide di Blade Runner ha visto cose che gli esseri umani non potrebbero nemmeno immaginare: navi da combattimento in fiamme a largo dei bastioni d’Orione e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser, io mi sono fermato davanti ai surfisti di California Dream, ho visto un negozio di vestiti di uno strano design locale con una testa di cervo imbalsamata appesa al muro e finalmente a North Latitude 30˚, l’ ho incontrato.

Aveva un completo grigio con dei pantaloni notevolmente più lunghi delle sue gambe e portava sopra la giacca un vestito di nylon azzurro senza maniche con il carattere bing (soldato) stampato all’interno di un cerchio bianco. Sembrava un incrocio tra un personaggio di Dragonball e un barbone, era in incognito ma io l’ho riconosciuto! Era lui! Babbo Natale!

Il suo essere lì era completamente senza senso, fuori da un negozio, all’angolo di un corridoio, a uno degli ultimi piani dello Wanda Shopping Plaza, a luglio.

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Poco lontano sono entrato in una sala giochi buia e rumorosa dove, accanto a qualche gioco nuovo, c’erano moltissimi giochi vecchi degli anni ’90, così ho deciso di lasciare un segno giocando qualche partita a King of Fighters ’98 e al nuovo Street Fighter. Molti dei coin-op erano consumati e uno a cui ho giocato era rotto.

Le partite duravano molto e la mia permanenza lì aveva cominciato a stordirmi allora mi sono alzato e ho deciso di usare i gettoni che mi rimanevano per pescare qualche peluche radioattivo.

C’erano i super eroi super deformed, draghetti verdi e orsetti di tutte le forme e colori. Inserisco i gettoni, faccio per dirigere l’arpione verso il peluche dell’uomo ragno e… CLAK!!!

Si spengono tutte le luci e le musichette assordanti. Black out in tutto lo shopping mall.

La gente comincia ad accalcarsi verso l’uscita e alcuni scendono a piedi dalla scala mobile.

Anche io li seguo ridendo. Welcome to the Jingle!

(Chengdu, 29 Luglio 2015)

Il grande incrocio

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Se a Chengdu vi capiterà di andare nel quartiere di Wuhou, di fronte al grande santuario di Zhu Ge Liang, dall’altra parte della strada, passando tra la Banca delle Costruzioni e la Banca Commerciale, vi troverete a camminare su Wuhouci Hengjie, apparentemente una strada come tante altre ma vi potreste sentire completamente persi in un’altra dimensione, un piccolo mondo tibetano nella grigia monotonia che ormai caratterizza sempre di più questa città.

Monaci e lama dalle vesti rosso scuro e giallo zafferano,  donne tibetane con lucide acconciature e preziosi gioielli, nomadi coriacei dalle terre del Nord-Est con scarponi da montagna, khampa  con l’aria fiera di antichi guerrieri, vi guarderanno con curiosità, sospetto, entusiasmo.

Qualcuno interromperà il suo sussurrare di mantra con un saluto gentile, una manifestazione di rispetto, un sorriso dai denti d’oro, qualcuno invece vi seguirà con uno sguardo austero sparire all’interno di una porta, salire su una scala o girare dietro un angolo.

Ristoranti tibetani, hotel e bettole cinesi si affacciano qua e là tra negozi di statue buddhiste, thangka e altri oggetti rituali oltre a un’infinità di monili, pietre, portafortuna e souvenir di vario genere.

Ma quello che appare al comune viandante è solo la piccola parte di un labirinto su più livelli, esistono infatti degli spazi che l’occhio non vede, sale da tè e locali nascosti le cui finestre sono, spesso, celate dal fogliame di un albero o da una lunga balconata sopra a un generatore della corrente e a un groviglio di cavi dell’alta tensione.

Ci sono tanti posti segreti, cortili interni silenziosi, vicoli polverosi dove anziani cinesi sorseggiano tè su basse sedie di bambù giocando a majiang.1

Lungo la strada e nelle zone vicine, interi appartamenti vengono presi in affitto da tibetani e vengono trasformati in piccole pensioni  che possono arrivare a ospitare fino a venti o più posti letto al costo di circa 20 o 25 yuan ciascuno.

Gli odori che si sentono sono quelli che ormai caratterizzano Chengdu: o di gas di scappamento, solventi, polveri di costruzioni e di pneumatici, o di hot pot, peperoncino, olio e fritto dei ristoranti e dei baracchini per strada, o di fogna. Quando raramente si sente un profumo, questo si mischia a tutti o almeno ad alcuni di questi odori.

L’unico odore che manca e quello dell’aria.

Tutto questo sembra un paradosso visto che negli antichi testi tibetani Chengdu era chiamata la “Città degli Dei” o la “Città Profumata” e i tibetani la consideravano un luogo sacro.

Lasciandosi il santuario di Zhu Ge Liang alle spalle, e camminando su Wuhouci Hengjie per poco più di 200 metri si arriva al Grande Incrocio, il “cuore” della sinmo inchiodata sul suolo di Chengdu, il punto d’incontro più importante del quartiere tibetano insieme al Kangding Hotel, dove la via incrocia una strada perpendicolare che a sinistra diventa Ximianqiao Hengjie e a destra Wuhouci Dongjie.

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Queste due strade, che essenzialmente sono un’unica strada con due nomi, costituiscono le braccia della demonessa e avvolgono  tutto il resto del quartiere nelle sue zone di “luce” e di “ombra”.

Avvicinandosi al Grande Incrocio, le note delle canzoni dell’altopiano diventano sempre più forti e si possono vedere gruppetti di uomini e di donne a quasi tutte le ore del giorno e della notte.

Al Grande Incrocio sostano sempre una o più camionette e mezzi della polizia ma sono degli elementi talmente comuni da queste parti che la gente non sembra badarci molto e continua il proprio via vai con indifferenza. I poliziotti che spesso sostano in piedi o che pattugliano la strada ricevono meno considerazione dei manichini esposti nelle vetrine. Questi almeno catturano l’attenzione di chi è in cerca di vestiti da comprare.

Non c’è tibetano che sia venuto a Chengdu che non sia passato per Il Grande Incrocio, dall’ U Tsang, dal Kham, dall’Amdo, dalla remota terra occidentale di Ngari, migliaia di chilometri per arrivare qui.

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Sono ormai più di dieci anni che mi aggiro in questa zona, i miei passi l’hanno percorsa in lungo e in largo, entrando in ogni negozio, hotel, locale e ristorante, incrociando il cammino di grandi lama, mahasiddha , tertön e bodhisattva ma anche quello di falsi maestri, ladri, briganti, prostitute, imbroglioni, assassini e poliziotti in borghese.

Anche io, come loro, ho attraversato più volte questo crocevia, un posto piccolo ma con troppe storie, personaggi e situazioni per essere descritte in così poche righe. Storie di mercanti e artisti, di mendicanti, di pazzi, di gente mutilata e sfigurata, storie allegre e tristi, piccoli fili nell’infinita trama dell’umanità.

Tra queste, quella più bella è quella di un’anziana regina dei mendicanti. Un giorno ve la racconterò.

1Un gioco che ha molti elementi in comune con la nostra scala quaranta ma dove al posto delle carte vengono usati dei piccoli mattoncini colorati.

I nomi stranieri degli studenti cinesi

rambo-ii-no.-432Gli studenti cinesi scelgono spesso dei nomi stranieri molto strani. Una volta ho parlato con uno che si chiamava “Prophet” che mi aveva raccontato aveva scelto questo nome per avere più sicurezza in se stesso e che si esercitava ballare la break-dance; una ragazza dello Xinjiang all’Università di Chongqing si chiamava “Cactus”, una mia studentessa “Cupido”, un altro studente “Tristano” e tra gli studenti degli amici miei ci sono stati anche “Foglia”, “Stagno” e “George Washington” (solo di nome).1 In questo corso una studentessa ha voluto chiamarsi “Squalo” nonostante io le avessi consigliato che era meglio sceglierne un altro.2 Qualche giorno fa ho conosciuto uno studente d’inglese di meno di vent’anni, carino e gentile con il viso rotondo e gli occhiali. Mi aveva parlato della sua passione per i militari e gli eserciti in generale e aveva lo zaino mimetico e il cappelletto dell’esercito americano. Ieri mi ha offerto un caffè e siamo tornati a scuola. Poco dopo mi è arrivato un sms: ” Hey this is Rambo. Nice to meet you!”

1 Un americano che ha insegnato a Pechino mi ha detto che, nella sua classe, c’era uno studente che si chiamava “Mike Tyson”.

2 Ho scoperto successivamente che Squalo, dopo essere andata in Italia, si è voluta chiamare Sabato.

Lama davanti al centro commerciale

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Oggi verso l’ora di pranzo andavo a prendere un cappuccino è stavo facendo a piedi quel piccolo tratto di strada da casa mia a Starbucks. Era una piacevole “giornata di sole” e sul Primo Anello passavano poche macchine. Mentre mi avvicinavo al centro commerciale ho notato due animali che da lontano mi sembravano due piccoli cammelli. Erano dentro un recinto sul marciapiede, proprio davanti alla porta del centro commerciale. Come accade spesso in Cina, intorno al recinto si era radunata una folla di curiosi che guardava gli animali e quasi tutti avevano i telefonini in mano, facevano foto o tentavano di filmarli. Arrivato al recinto mi sono accorto che i due animali erano dei lama: uno era marrone e l’altro bianco. Mangiavano del fieno in una scatola in un angolo del recinto e guardavano la folla con i loro occhi grandi e un espressione calma. Guardandoli ho pensato come gli  animali erbivori che ruminano riescano a rimanere così calmi e placidi anche in mezzo alla confusione. In Tibet osservo molto gli Yak e ho notato che, a volte mentre pascolano sugli scoscesi pendii delle montagne smettono di mangiare l’erba e alzano la testa rimanendo immobili per molti secondi con lo sguardo fisso, guardano in lontananza.

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Sono andato a prendere il cappuccino è quando sono ripassato davanti al centro commerciale erano ancora lì. In Cina spesso succedono delle cose strane, inaspettate, un amico mio americano che ho conosciuto a Chongqing li chiamava China moments, qualcosa per noi completamente al di fuori dell’ordinario, che però sono delle cose che tirano sù la giornata, che hanno la forza di svegliarti, come l’uccellino di legno dell’orologio a cucù. Da quella conversazione che ho avuto a Chongqing con quel mio amico americano, sono diventato un osservatore di questi momenti. Non si può infatti essere un cacciatore di China moments, perché non puoi sforzarti di cercarli, non esiste alcun piano alcuna teoria, alcuna griglia logica o struttura grammaticale con cui catturarli, semplicemente accadono quando meno te lo aspetti. Cucù! China Moment! Come un bambino che ti spruzza all’improvviso con la pistola o, a volte, come una secchiata d’acqua. Cammini sul marciapiede di sera e….Cucu! Barboncino con pelo multicolore, giubbottino e museruola gialla a forma di becco di papera!

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Mentre ripassavo davanti ai lama la mia logica ha cercato di catturare l’evento con le spiegazioni e le teorie, facendolo rientrare nella casella giusta, scegliendogli una giusta cornice:  “quest’anno sarà l’anno della pecora ecco il perché…ho capito…ma i lama non sono proprio pecore, vengono dal Sud America…” Ma questo rovina il China Moment, così lo perdi.

Ho abbandonato il ragionamento…e ecco il China moment di oggi: stavo andando a prendere il cappuccino e….CUCU’! Lama davanti al centro commerciale!

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Una domenica movimentata

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Stamattina alle 8.30 sono andato in un giardino pubblico qui a Chengdu per liberare migliaia di pesci (tipo anguille) nel fiume insieme ad un amico cinese e a Sönamkyi, una vecchietta tibetana che chiede l’elemosina vicino a casa mia. Siamo arrivati e il gruppo di cinesi, lama Konsar e gli altri monaci avevano già cominciato le preghiere attirando tutta una folla di curiosi.

Verso le 10 abbiamo preso un autobus e dopo quasi un’ora e mezza tra taxi, autobus e rickshaw siamo arrivati davanti a una casa un po’ isolata in un villaggio vicino a Pixian. Lì siamo andati a trovare un maestro tibetano di Mewa che ci ha aspirato via le malattie con una sciarpa di seta bianca (katak) sputando una sostanza scura in una ciotola.

Tornati a Pixian (altra mezzora d’autobus) siamo rimasti aspettare seduti sui gradini della stazione per una mezz’ora con Sönamkyi, seduta accanto a me, che chiedeva l’elemosina suscitando reazioni di stupore e di disdegno nei passanti. Dopo un’altra mezz’ora d’autobus siamo andati a Pengzhou, lì abbiamo visto un tempio con una copia di cemento dello Stūpa dell’Illuminazione di Bodh Gaya a grandezza naturale che dava all’ambiente un’atmosfera abbastanza surreale.

Dopo esserci fermati in un negozio-ufficio che vendeva strane pillole all’estratto di pino a bere acqua calda, verso le 17.30 abbiamo preso l’autobus di ritorno.

Alle 18.30 siamo scesi a Chengdu in mezzo alla strada e, cercando di prendere un taxi, ci siamo ritrovati in un incrocio sotto un cavalcavia enorme in un delirio totale. Un fiume caotico di macchine, autobus, camion, motorette elettriche e rickshaw che suonavano il clacson ogni secondo mentre cercavano di tagliare la strada agli altri o di infilarsi in diagonale negli spazi tra due vetture.

Siamo rimasti in quel casino per quasi un’ora attraversando di qua e di là la strada senza riuscire a trovare nessun autobus o taxi che ci portasse a casa e, dopo un po’, abbiamo scoperto che sul cavalcavia c’era uno che minacciava di buttarsi di sotto. Miracolosamente poi siamo riusciti a prendere un taxi e a tornare verso il centro.

Sono andato a salutare lama Konsar nel suo albergo nel quartiere tibetano e, abbastanza stanco, mi sono trascinato a piedi verso casa.1 Che domenica!

1Poco lontano su Wuhouci Dajie (circa 500 metri).