Stiamo percorrendo una strada nuova, come mi è già capitato di vedere in Tibet, lungo le strade che salgono all’interno di strette gole, ampie zone della valle sono state sommerse e sono state costruite dighe per la produzione di energia elettrica. In questa zona il Fiume Giallo è diventato lago che si estende tra le montagne, limpido, calmo e profondo.
“Pensi che questo cambiamento abbia portato dei miglioramenti o dei peggioramenti?” chiedo a Xiao Ma, l’autista hui che mi sta portando a Rebkong.
“Dei miglioramenti. La gente del posto dispone di più energia elettrica a un costo più basso.”
“Tutta quest’acqua non influenzerà negativamente l’agricoltura e l’ambiente?”
“No, con più acqua la zona è diventata più umida e questo compensa la siccità favorendo le coltivazioni.”
Forse è vero che ci sono stati dei miglioramenti ma le frane, le sempre più frequenti inondazioni nella Cina continentale, le precipitazioni anomale, i tifoni e altre calamità mi fanno pensare che la visione di Ma, come quella della maggior parte delle persone, sia solo a breve termine e che non tenga conto della stretta relazione di interdipendenza che lega i vari fattori ambientali.
Al contrario i Tibetani hanno sempre dato molta importanza al rispetto della natura, il cui equilibrio non doveva mai essere alterato, in essa infatti dimorano delle entità invisibili, dei genii loci, la maggior parte dei quali non sempre amichevole. Essi infatti sono spesso infastiditi dall’atteggiamento prepotente e indiscriminato dell’uomo nei confronti della natura, che costituisce la loro ‘casa’, e possono reagire causando malattie e calamità naturali di vario genere. In questo contesto l’uomo non è padrone ma ‘ospite’ e come tale deve comportarsi secondo delle norme ben precise di ‘convivenza pacifica’.
Queste entità possono essere suddivise (secondo una classificazione più semplice) in lha, nyan e lu. Secondo Trungpa Rinpoche i lha dimorano sulle vette delle montagne innevate, nel punto dove la terra è più vicina al cielo e dove per prima batte la luce del sole quando sorge.
Gli nyan abitano invece lo spazio intermedio: i versanti delle montagne con le loro rocce e le loro foreste e la superficie della terra con le sue pianure e distese erbose.
I lu hanno come casa gli oceani, i fiumi, i grandi laghi: tutto il regno dell’acqua e del sottosuolo. Tagliare alberi, rimuovere pietre sacre e scavare i fianchi delle montagne o il suolo, inquinare le risorse idriche, deviare il corso dei fiumi con degli argini o drenare l’acqua per mezzo di canali, compiere lavori in muratura o costruire edifici in genere, ecc. causano la vendetta di questi e di molti altri esseri non umani. Oggi in Tibet come nel resto della Cina stanno avvenendo molti lavori di modernizzazione che, in un’ottica a breve termine, sicuramente, in una certa misura, porteranno alcuni benefici ma, in questa selvaggia corsa allo sviluppo, si sta tenendo poco conto dell’impatto che tutto questo sta avendo sull’ambiente e delle relative conseguenze. Oggi la maggior parte delle persone non crede all’esistenza di queste entità e pensa che siano solo frutto della fantasia dei tibetani ma che queste ci credano o no, si troveranno poi a subirne le conseguenze.
Nel regno domato dall’ineguagliabile Buddha Shakyamuni, a nord del Trono Adamantino dell’ India, al centro del continente meridionale di Jambudvipa, si trova la Valle d’Oro di Rebkong dove Jetsun Kalden Gyamtso, “Fortunato Oceano”, un’emanazione del sublime Avalokiteshvara, ha beneficiato innumerevoli esseri. A ovest si trovano le Terre Pure di U e Tsang dove il Buddha Amitabha e Padmapani si sono emanati come i Vittoriosi dalle vesti color zafferano Padre e Figlio.
A nord, in Dome, si trova la montagna Tsongkha Kyeri, il luogo di nascita del Secondo Buddha, il grande Tsongkhapa, che regna supremo sui tre mondi. Ci sono molti villaggi della Valle d’Oro di Rebkong, e gli abitanti sono intelligenti, coraggiosi e abili nelle scienze dell’arte religiosa, la medicina, e l’astrologia. Tutti provano gioia nel praticare il Dharma.1
Shabkar Tsokdruk Rangdröl
Rebkong (cin. Tongren) si trova nella provincia del Qinghai, in quella zona che di solito i tibetani chiamano Tshongön2 e i mongoli Kökönor. Tutti questi termini vogliono dire “lago azzurro”, infatti in questa zona si trova il lago d’acqua salata più grande della Cina.
Nella letteratura tibetana Rebkong è chiamata la “Valle Dorata” per via delle Montagne Dorate e della Pietra Dorata presenti nella sua topografia.
E’ situata appena a sud del Fiume Giallo (tib. Machu),3 nella parte centrale dell’Amdo (Tibet nord-orientale), a sud di Tsongkha e per questo può essere definita “il cuore dell’Amdo”.
Anche se originariamente comprendeva un’area molto più estesa di quella attuale, oggi si trova a circa 185 km a sud di Xining ed è il capoluogo della Prefettura Tibetana Autonoma di Malho (cin. Huangnan).4
Nelle sue pianure e valli, vive gran parte della popolazione di questa regione. E’ abitata per lo più da agricoltori ma ci sono anche alcune comunità di nomadi sugli alti pascoli ai margini delle valli.
Anche qui, come in molte altre parti del Tibet, è presente la duplice economia agricoltura-allevamento ma la prima è senza dubbio quella prevalente.
I suoi villaggi e monasteri punteggiano la fertile e sinuosa valle del Guchu, ricca di campi coltivati e sottili alberi da frutta, che si estende per alcuni chilometri collegandosi a valli più piccole.
Il fiume Guchu l’attraversa da sud a nord passando per Dzongmar, Dardzang, Jangkya, Rongwo, Nyenthok, Gomar, Tokya5 e sfocia poi nel Fiume Giallo a ovest di Jentsa. “Guchu”6 in tibetano significa “nove fiumi” perché le sue acque sono formate dai nove torrenti che affluiscono da nove valli adiacenti. Sulle montagne intorno e nelle valli che si diramano tutto intorno si trovano molti altri villaggi tra cui quelli di Shohong, Gyalwo Gang, Chuja, Changlung, Kude,7 ecc.
A Rebkong sono state costruite anche alcune fabbriche: una di queste è la grande fonderia di alluminio di Tokya che inquina pesantemente questa parte della valle.
La via più veloce per raggiungere Rebkong è quella che da Xining percorre un tratto dell’autostrada Lanzhou-Xining per poi dirigersi verso sud su una strada che, a ridosso di ripide montagne rosse e ocra sfumate di grigio, costeggia in alcuni tratti il Fiume Giallo. Qui le acque del fiume sono limpide e cristalline e non hanno ancora assunto quel colore ‘giallo’ che di solito le caratterizza. D’estate le montagne sono ricoperte da un sottile strato d’erba verde chiaro che d’inverno si secca dando alla zona un aspetto abbastanza arido e brullo.
Quella che si percorre oggi è la strada nuova, finita di costruire solo poco tempo fa.
La vecchia strada si trova ancora qualche decina di metri più in basso e sta per essere allagata.
Già sono state allagate vaste aree delle valli sottostanti e sono state create dighe allo scopo di produrre energia idro-elettrica come in molti altri posti del Tibet (Vedi I Lha, gli Nyen e i Lu).
In questa zona il Fiume Giallo ha l’aspetto di un placido lago verde-azzurro che si estende tra le montagne. Pochi chilometri a ovest di Jentsa lo si attraversa e si imbocca la strada che porta fino a Rongwo risalendo il corso del Guchu e dopo alcuni chilometri si entra nella bassa valle del Guchu all’altezza di Tokya dove in lontananza, a ridosso delle montagne, si scorge la città di Rongwo.
Un’altra via per raggiungere Rebkong è da Labrang cittadina nei pressi dell’alto corso del fiume Sangchu a circa un centinaio di km a sud-est di Rebkong. La contea di Labrang (cin. Xiahe) si trova nella Prefettura Autonoma Tibetana di Gannan, nella provincia del Gansu, ed è il nodo dove convergono tutte le strade provenienti dall’Amdo sud-orientale: da Jigdril,8 nel Golok meridionale, da Ngawa, Dzoge, Machu e Luchu,9 prima di arrivare a Lanzhou o Xining. Dopo essere passata per le praterie di Gangya, nell’ultimo tratto questa strada attraversa l’area di Shohong e passa per una gola chiusa tra montagne rosse dalle pareti scoscese che a causa dell’erosione hanno assunto strane forme levigate, simili a quelle di un canyon.
La città di Rongwo
Rongwo si trova al centro della valle ed è il centro abitato più grande nonché sede centrale dell’amministrazione di Rebkong e di tutta la Prefettura di Huangnan. E’ una moderna e tranquilla cittadina di provincia in stile cinese, con i soliti edifici a più piani di mattoni rivestiti di piastrelline bianche o di intonaco cementizio grigio che le conferiscono un aspetto trasandato e fatiscente. Grandi ideogrammi cinesi spiccano a colori vivaci sulle finestre dai vetri sottili e sulle insegne dei negozi, a volte accanto a scritte in tibetano.
Durante le festività più importanti, soprattutto nel periodo del capodanno, lungo le vie principali c’è sempre una frenetica attività commerciale perché i contadini dei villaggi circostanti e i nomadi dei pascoli più remoti si riversano in città per assistere alle celebrazioni e per comprare o scambiare gli alimenti e le merci di cui hanno bisogno.
Come in tutta questa zona, a Rongwo convivono molte etnie differenti, i cui rapporti, almeno in passato, non sono sempre stati armoniosi: i cinesi han, i tibetani e i musulmani hui e salar.10
Anche se per le strade sembrano esserci quasi esclusivamente tibetani e alcuni musulmani, in realtà i cinesi costituiscono la maggioranza e occupano quasi tutti i posti di rilievo negli uffici e nell’amministrazione. Questo perché molti tibetani abitano nei villaggi vicini e vengono in città solo per lavorare, divertirsi o fare compere, per poi tornare a casa la sera.
I musulmani hanno in mano buona parte delle attività economiche: si occupano soprattutto della macellazione degli animali e della vendita della carne, gestiscono piccoli ristoranti e zahuodian, negozi in cui si trova praticamente di tutto, dagli alimenti agli articoli di ferramenta e di merceria.
L’attività dei tibetani consiste invece per lo più nella vendita di monili e gioielli, pietre ornamentali anche preziose come i coralli, artigianato a carattere religioso (statue, thangkha,11 ecc.) e inoltre nella vendita di stoffe, feltri, cappelli, tappeti e chuba, i vestiti tradizionali con le maniche molto lunghe di feltro o pelle, a volte imbottiti di pelo.
Spesso sono occupati anche nella gestione di ristorantini, che sono dei veri e propri punti di aggregazione. Qui infatti i visitatori occasionali trascorrono molto tempo guardando i video dei cantanti locali e sorseggiando tazze di tè fumanti.
Per via della modernizzazione apportata dai cinesi, oggi Rongwo è una moderna cittadina di provincia con strade rettilinee che si intersecano ad angolo retto, a differenza della maggior parte dei nuovi insediamenti, caratterizzati da una impostazione lineare (abitazioni costruite lungo un’unica strada principale). Le vecchie case di argilla e paglia che costituivano l’antico villaggio sono ancora visibili nei pressi del monastero Rongwo Gönchen.
Rongwo Gönchen oggi è situato nella parte sud, sul lato destro della strada che attraversa la città e prosegue in direzione di Tsekok. Originariamente era un monastero Sakyapa.
Il primo complesso degli edifici fu costruito nel 1301 dal maestro Sakyapa Samten Rinchen, nipote di un emissario di Drögon Chögyal Phakpa.12 Verrà ricostruito pochi secoli dopo da Shar Kalden Gyatso13che lo farà diventare un monastero Gelugpa.
Rongwo Gönchen è il più importante monastero di Rebkong14 e può essere considerato il terzo monastero Gelugpa più importante dell’Amdo. E’ composto di nove padiglioni e attualmente conta circa quattrocento monaci. Durante la rivoluzione culturale gran parte del monastero fu distrutta e oggi molti padiglioni sono stati ricostruiti usando materiali nuovi. Solo i vecchi edifici conservano lo stile tradizionale in muratura. Alcuni lavori di ristrutturazione sono ancora in corso, come ad esempio quelli lungo certi tratti della khora, la strada che gira intorno al perimetro del monastero percorsa dai fedeli durante la circoambulazione rituale.15
Mentre le ristrutturazioni esterne sono state fatte in modo abbastanza grossolano, all’interno i padiglioni sono stati ristrutturati magnificamente: le sale sono state adornate con statue e pitture murali di nuova fattura ma dal grande valore artistico. Rebkong è infatti conosciuta per i suoi artisti, in particolare per la straordinaria bravura dei suoi pittori, famosi in tutto il Tibet, al punto che a molti di questi vengono commissionati lavori anche nei monasteri di altre zone e rimane ancora oggi un importante centro di formazione artistica.
L’ottava manifestazione del Rongwo Kyabgön Shartsang, il lama principale, ha oggi poco più di vent’anni, conosce perfettamente sia il tibetano che il cinese e ha fama di avere grande compassione e saggezza.
La sua immagine compare un po’ dappertutto a Rebkong, nei negozi, nelle case private della gente, nei monasteri Gelugpa e nei santuari dei ngakpa (ngakkhang) disseminati nella valle e in cima alle montagne.
Tutti a Rebkong riconoscono la sua autorità, indipendentemente dalla tradizione religiosa a cui appartengono.
Agli inizi del XVIII venne fondato Labrang Tashikyil16 nell’alta valle del Sangchu, tra le praterie di Sangke e Gangya. Il nuovo monastero diventò presto il centro di formazione di geshe mongoli e buriati. La sua fama crebbe enormemente e con essa, la sua sfera di influenza che si estese sempre di più.
Probabilmente fu allora che Rongwo Gönchen e Labrang Tashikyil entrarono in competizione per il controllo delle aree circostanti, dando inizio a quella rivalità che ho percepito, ancora oggi, nella mentalità della gente e che è all’origine di molte storie strane che mi hanno raccontato sia a Labrang e sia a Rebkong.17
Casa di un villaggio lungo la strada di Gyawo Chuja (foto di Andrea Casetti).
I villaggi
I villaggi di Rebkong si trovano sia a valle che sui pendii e le cime delle alture che circondano Rongwo e sono costituiti da poche decine di case raggruppate e collegate fra loro da viottoli sterrati.
Quasi ogni villaggio ha un santuario (tib. lhakhang) dove, in alcuni giorni del calendario tibetano, i ngakpa svolgono cerimonie e partecipano alle pratiche collettive a cui sono presenti praticamente tutti gli abitanti. Questo è il centro della vita sociale e religiosa: la gente, infatti, non solo si raduna qui per le cerimonie o per fare le circoambulazioni ma si incontra anche all’interno del cortile o fuori dall’ingresso per conversare amichevolmente. A fare questo sono soprattutto gli anziani che di tanto in tanto interrompono il loro bisbigliare mantra per scambiarsi qualche parola, continuando però a strofinare la mala tra pollice e indice.
Il santuario ha generalmente l’ingresso che si affaccia in un piccolo cortile da dove si accede alla sala vera e propria. Il tetto è a volte leggermente spiovente e rivestito di tegole secondo lo stile architettonico tradizionale dell’Amdo che, soprattutto negli edifici religiosi, risente molto spesso degli influssi di quello tradizionale cinese.
In un villaggio di ngakpa il santuario è chiamato ngakkhang che letteralmente si traduce come “stanza o casa dei ngakpa” ma che definisce il padiglione delle pratiche tantriche.
Ci sono poi anche i manikhang, edifici che solitamente contengono una o più grandi ruote di preghiera le cui dimensioni possono variare da quelle di una piccola cella a quelle di un comune santuario.18Le abitazioni tradizionali sono fatte di un impasto essiccato di argilla mista a paglia che le rende resistenti al freddo e alle intemperie e sono sorrette all’interno da pilastri e travi di legno.19All’interno le pareti e il pavimento di alcuni dei locali, tra cui la cucina, sono interamente rivestiti di legno, altri semplicemente di intonaco, piastrelle o cemento crudo. La porta d’ingresso dà in un cortile intorno a cui sono disposte a ferro di cavallo le varie stanze. Ad alcune di queste si accede dall’interno, mentre ad altre direttamente dal cortile.20
Nelle case non c’è acqua corrente e a valle, nei villaggi più bassi, questa viene raccolta da pozzi o pompata in superficie per mezzo di impianti idrici rudimentali. Quando un villaggio si trova in alto o in montagna l’acqua viene raccolta direttamente dalla sorgente con grandi taniche di plastica. Questo lavoro spetta quasi esclusivamente alle donne che spesso percorrono lunghi e faticosi tragitti portando pesanti carichi sulla schiena. L’acqua viene poi portata dal pozzo o dalla sorgente all’interno delle case dove viene conservata in grandi contenitori di terracotta o di altri materiali. E’ considerata preziosa e se ne fa quindi un uso molto parsimonioso.
Le strade e i sentieri che portano ai villaggi più alti sono sterrati e difficilmente percorribili, attraversano piccoli torrenti e salgono curvandosi lungo i pendii, verso le cime dei monti. La gente di solito le percorre con le moto che sono diventate ormai i nuovi cavalli del Tibet, o con dei piccoli trattori ma c’è ancora chi le percorre a piedi o a dorso di mulo.La scuola di un villaggio nei pressi di Gönlaka è l’unica nella zona e i bambini ci arrivano a piedi dai villaggi circostanti e poiché alcuni di loro devono camminare per ore, le lezioni cominciano nel primo pomeriggio.
A Rebkong l’economia è prettamente agricola e i prodotti più coltivati sono l’orzo, il grano, la senape e le patate, mentre dagli alberi vengono raccolte anche delle pere e delle piccole mele. Durante l’inverno, le pere vengono consumate dopo essere state per lungo tempo esposte al sole. La buccia e la polpa di questi frutti viene fatta maturare a tal punto da assumere un colore marrone scuro ma il clima freddo fa sì che il frutto si conservi senza andare a male.
Anche qui la maggiore fonte di guadagno è costituita dalla vendita del Cordiceps sinensis.
Ecco grosso modo come si articola la vita di un contadino della zona nell’arco di un anno stando a quanto mi è stato riferito dal ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja e da alcuni abitanti del villaggio di Jangkya:
1) Verso la metà del secondo mese del calendario tibetano avviene la semina.
2) Nel periodo che va dalla metà del terzo alla metà del quarto mese molti si spostano verso sud piantando le tende sui pascoli dei nomadi di Tsekok e Sokwo per la raccolta dello Cordiceps sinensis.
3) L’ottavo mese vengono raccolti i prodotti della terra.21
Jangkya
Dalla città la strada sale verso sud, si lascia alle spalle il grande monastero e la scuola superiore Minshi22 e dopo alcuni chilometri si insinua tra le montagne più vicine.
Per un po’ disegna una fila di curve poi torna di nuovo rettilinea e continua per altri chilometri risalendo il corso del Guchu che ora scorre a sinistra, poco più in là.
Rongwo è ormai scomparsa dietro le montagne e l’impressione è quella di trovarsi in un altra valle più piccola, stretta e lunga. Infatti la particolare disposizione delle montagne crea un’illusione ottica per cui la stessa valle, a seconda delle diverse prospettive, sembra frantumarsi in tante altre piccole valli. A destra appare un chörten bianco e la strada passa sotto un arco improvvisato su cui sventolano bandiere del lungta23 dai cinque colori: siamo prossimi al villaggio di Jangkya. Spesso in Tibet, lungo le vie che conducono ai villaggi, vengono costruiti chörten e issate le bandiere con il lungta o con altre preghiere, mantra e invocazioni e la loro funzione è quella di proteggere e garantire la prosperità del luogo.
In Tibet ogni zona, ogni piccolo paese ha un “signore del luogo”, uno spirito che solitamente è una divinità guerriera associata ad una particolare montagna.24
Jangkya è il primo villaggio che si incontra lungo la strada. Le sue poche abitazioni d’argilla scendono dolcemente verso il Guchu dai piedi del monte Amnye Mokri. Amnye Mokri è il signore del luogo, la divinità tutelare di Jangkya, un cavaliere dal volto rosso con l’elmo e le armi dei guerrieri. Il suo “supporto”, o labtse,25 si trova sulla cima della montagna che sovrasta il villaggio. Qui ogni anno, nei primi giorni del primo mese del calendario tibetano, Amnye Mokri discende nel corpo del lhaba,26 una sorta di medium popolare, un uomo del villaggio adatto a ospitare la divinità, che parla tramite lui.27 In quei giorni la gente del villaggio si riunisce nel ngakkang dove il lhaba dà responsi e previsioni sul futuro (Vedi Incontro con Amnye Mokri)28
Il ngakkhang di Jangkya si trova su un lato dell’unica strada asfaltata, vicino alla scuola ed è un basso padiglione a cui si accede salendo pochi gradini, circondato da alcune ruote di preghiera. All’interno del santuario il pavimento è fatto di assi di legno e sulle pareti sono affisse pitture e thangkha, la maggior parte delle quali è recente. Ne rimangono solo alcune antiche, sfuggite ai saccheggi e alle distruzioni degli anni Sessanta perché nascoste sul monte Amnye Mokri.29
La tradizione vuole che, nei pressi di questo villaggio, Guru Padmasambhava uccise una sinmo,30 uno dei tanti demoni ed entità malefiche che dimoravano in queste terre.31 Un masso sull’altra riva del Guchu dalla strana forma concava, testimonia questo scontro. Qui, infatti, è ancora impressa l’impronta del corpo del demone.32
A Jangkya dovrebbero esserci alcune decine di ngakpa ma io ne ho visti poco meno di dieci, di cui tre anziani.
Una delle famiglie più prestigiose del villaggio è quella di Tapagya. Come suo padre, Tapagya è un ngakpa.33La sua è una famiglia di ngakpa da almeno sette generazioni e per questo è una delle più prestigiose del villaggio.
Villaggio di Chanlung, Rebkong
Changlung
Da Jangkya si attraversa il fiume e si continua a salire verso est, lungo una stradina che si inerpica sull’altro lato della valle. A un certo punto si incontrano alcune case su un pendio terrazzato: il villaggio di Changlung (nel dialetto locale Shyanglung). Sul monte che lo sovrasta si trova l’eremitaggio dove Palchen Namkha Jigme trascorse lunghi periodi in ritiro, dedicandosi alla pratica del thögal34 ed ebbe molte visioni di divinità e di esseri realizzati tra cui e lo stesso Guru Padmasambhava e il dharmapāla Rāhula.35
Gyawo Chuja
E’ nascosto dalla cima di Gyawo Gang sul lato est della valle del Guchu e la sua sagoma si scorge appena dal Rongwo Gönchen. La strada che vi giunge penetra in una stretta gola dove scorre un piccolo torrente, sulla parete di roccia a sinistra e su alcuni massi caduti sono visibili delle macchie color ruggine. Secondo la tradizione popolare, Guru Padmasambhava uccise qui un’altra sinmo scagliandole contro il suo dorje. Il sangue della demonessa si riversò un po’ ovunque sulle pietre e il suo corpo prese fuoco. Rimangono ancora alcuni frammenti scuri incastonati nella roccia che si dice siano i resti carbonizzati della sinmo.36
La strada riprende a salire per i tornanti della montagna e dopo un po’ di tempo, davanti agli occhi comincia a comparire Gyawo Chuja.
Villaggio di Chuja, Rebkong
Le case del villaggio sono aggrappate al pendio o sparpagliate tutto intorno circondate dai campi a terrazza. Qui, nonostante l’altitudine sia maggiore rispetto a Rongwo, le montagne sembrano delle piccole colline dai contorni lievi.
In questa zona ci sono sette villaggi di ngakpa e tutti sono preceduti dalla parola Gyawo (Gyawo Chuja, Gyawo Gang, ecc.), Gyawo Chuja è tra questi quello più importante. “Gyawo”37 in tibetano vuol dire re e infatti una leggenda narra che in questa zona visse l’antico re dell’Amdo.
La gente del luogo tramanda diverse storie di personaggi dai poteri straordinari. Qui vissero famosi mahāsiddha come Drubchen Nyimai Khorlo, Kawa Metok Charbep, Achag Yama Mebud. Si dice che un giorno i tre si incontrarono e pensarono si preparare il tè ma non avevano il fuoco. Subito Achag Yama Mebud fece scaturire magicamente il fuoco da alcune pietre. A quel punto un altro disse che avevano il fuoco ma non avevano l’acqua. Kawa Metok Charbep fece cadere la pioggia ma il sole stava tramontando e i tre yogi avrebbero dovuto continuare a bere il tè nell’oscurità, così Drubchen Nyimai Khorlo fermò il sole, inchiodandolo con il suo phurba sul terreno.38
Gyawo Chuja è il villaggio dove nacque lo yogi Rigdzin Palden Tashi, considerato dai suoi discepoli il re della tradizione dei ngakpa Nyingmapa: “Alak Gyawo”.
Gli spiriti della montagna del luogi sono Taklung Lhagöd Thuchen e Jomo Menmo, sua consorte.
Un giorno un antenato di Rigdzin Palden Tashi conosciuto con il nome di Namkha Gyaltsen, andato a raccogliere delle erbe medicinali sulla montagna, provocò queste entità che reagirono scagliandogli contro dei fulmini. Namkha Gyaltsen li raccolse prontamente con il lembo del vestito dopodiché fece scivolare i frammenti di ferro incandescenti che erano rimasti su una pietra che stava lì accanto e questa si dissolse. Vicino al villaggio, a Khandro Drora, il posto delle dākinī danzanti, si trova la caverna di Taklung Shelgi Riwo dove si dice che un famoso yogi abbia raggiunto il corpo di arcobaleno.39
Attualmente Gyawo Chuja conta circa una cinquantina di ngakpa, il più anziano dei quali ha passato i novant’anni. Nella parte alta del villaggio vicino alla casa del ngakpa più anziano si trova un ngakkhang e un manikhang. Il ngakkhang, Rigdzin Ramphel Ling, è una piccola costruzione quadrata di argilla essiccata e legno, dai muri tinti di bianco e il tetto ricoperto di tegole grigie che, in pessime condizioni fino a poco tempo fa, è stato di recente restaurato. Ai tempi di Rigdzin Palden Thashi esisteva già un ngakkhang più piccolo che lui ha poi ampliato e rinnovato.40
Cortile interno del Rigdzin Rangphel Ling, ngakkhang di Chuja
Da Rongwo si segue il corso del Guchu verso nord e giunti all’altezza di Tokya si prosegue per Labrang. Dopo alcuni chilometri si entra in una gola. Tutto intorno le montagne dai contorni ondulati, che facevano da scenario al fiume Guchu, diventano alti picchi levigati. Gli agenti atmosferici sembrano aver modellato la roccia dando a queste cime dalle varie tonalità di rosso, delle forme bizzarre. Questa è la terra di Shohong famosa per i suoi “ngakpa dal puro samaya e dall’irremovibile fede nel Mantra Segreto della Tradizione Antica”,42 terra che ha dato i natali a grandi personaggi il cui ricordo rimane nel cuore di tutti i suoi abitanti: lo yogi Shabkar Tsokdruk Rangdröl (1781-1851) da molti considerato una manifestazione di Jetsun Milarepa e Gendun Chöpel (1903-1951), uno dei più grandi scrittori tibetani del secolo scorso, figlio di Ngakchang Dorje Namgyal (1888-1908), la quarta manifestazione di Alak Gyawo.
Qui a valle dove scorre un piccolo torrente e sui versanti dove si ode il sibilio del vento sono dislocati otto villaggi43 e si erge Yama Tashikyil, dove meditarono Shar Kalden Gyatso, Shabkar Tsokdruk Rangdröl, Pema Rangdröl e molti altri maestri.
La montagna Amnye JadrönShohong Nyengya, Rebkong
Ai piedi della montagna sacra Amnye Jadrön c’è Nyangya:44 il villaggio di Shabkar che nella sua autobiografia lo descrive così:
Nelle vicinanze si trovano gli Otto Luoghi dei Realizzati di Rebkong e molti luoghi sacri dove una volta aveva praticato Lord Kalden Gyatso. Il più eminente di questi luoghi sacri è Shohong Lakha , il palazzo reale di Chakrasamvara, situato nei pressi del tempio di Chuchik Shel.
Entrambi contadini e nomadi vivono in questa terra di rupi, foreste e prati fioriti. Qui, seguendo la pratica di Chakrasamvara e Vajrayogini, il grande praticante tantrico conosciuto come Kawa Dorje Chang Wang, che era venuto dall’Orientale Kathok, ha raggiunto il corpo vajra di arcobaleno in una singola vita.
In questa regione, dieci villaggi di varie dimensioni sono sparsi in tutte le direzioni. Tra questi c’è Nyengya, un villaggio ai piedi della dimora montana della divinità locale Jadrön. Questa è la mia terra.45
Le abitazioni di Nyangya sono costruite su un dolce pendio terrazzato che sovrasta un’ampia vallata. La massiccia cima piatta di Amnye Jadrön si eleva in questo paesaggio colorato e la sua vista mi richiama alla mente antichi potenti re.
Sulla parete perpendicolare di questa montagna c’è una grotta dove Shabkar si ritirò in meditazione e dove altri hanno meditato dopo di lui. Sotto la stata c’è un altra cella dove oggi, di tanto in tanto, monaci e ngakpa vengono a meditare.
Vicino il muro di cinta di una delle case al limitare del villaggio, sorge uno stūpa ricoperto di piastrelle bianche che conserva la statua di uno yogi in una nicchia della parte superiore. Questo era il luogo dove prima si trovava la casa della famiglia di Shabkar e dove lui nacque.
Ngakkhang dove studiò il giovane ShabkarNgakkhang dove studiò il giovane Shabkar
Poco lontano da Nyangya la strada scende percorrendo una stretta gola punteggiata qua e là da alberi dal fusto sottile dove si ode il gorgoglio di un piccolo torrente. Si cammina per un po’ lungo il corso dell’acqua e poi si sale verso una piccola altura dove si vede una costruzione di modeste dimensioni situata in una posizione isolata. Questo è il ngakkhang dove Shabkar cominciò a studiare il Dharma.
L’edificio è stato ristrutturato da poco usando materiali nuovi più resistenti: i muri di argilla e paglia sono stati rimpiazzati da muri di mattoni e in alcuni punti della struttura è stato impiegato anche del cemento. All’interno le travi e le colonne portanti sono state rinnovate di recente ma molte devono ancora essere ridipinte. Al secondo piano dell’edificio, lungo uno stretto e scricchiolante ballatoio, c’è una statua di Shabkar e due piccoli stūpa di metallo disposti ai due angoli. Quello di destra dovrebbe contenere alcuni resti del grande yogi di Nyengya.46 Da circa un anno un giovane ngakpa è in ritiro in questo ngakkhang.
Statua di Shabkar Tsokdruk Rangdröl all’interno del ngakkhang
1 Within the realm tamed by the peerless Buddha Shakyamuni, north of the Diamond Throne of India, the center of the southern continent of Jambudvipa, lies the Golden Valley of Rekong where Jetsun Kalden Gyatso, “Fortunate Ocean”, an emanation of the sublime Avalokiteshvara, benefited countless beings. To the west lie the Pure Realms of U and Tsang where the Buddhas Amitabha and Padmapani emanated as the saffron-clad Victorious Ones-Father and Son.
To the north, in Domey, stands the mountain Tsongkha Kyeri, the birthplace of the Second Buddha, the great Tsongkhapa, who reigns supreme over the three worlds. There are many villages of the Golden Valley of Rekong, and the inhabitants are intelligent, courageous, and skilled in the sciences of religious art, medicine, and astrology. All take delight in practicing the Dharma.
Cfr. Shabkar Tsokdruk Rangdröl. Ricard 1994, op. cit., p. 15. Traduzione dall’inglese di Andrea Casetti.
4 La Prefettura di Huangnan è costituita da quattro distretti (cin. xian): Jentsa (cin. Jianzha), Rebkong (cin. Tongren) , Tsekok (cin. Zeku) e Sokwo (cin. Henan). Jentsa ha una popolazione di 49158 abitanti in un area di 1601 kmq; Rebkong ha una popolazione di 75038 abitanti in un area di 3353 kmq; Tsekok ha una popolazione di 53249 abitanti in un area di 6858 kmq. La Contea Autonoma dei Mongoli di Sokwo (Henan Menggu Zizhi Xian) si trova poche decine di chilometri a sud-est di Tsekok e conta 30134 abitanti. Come a Tsekok, anche qui gli abitanti sono nomadi. La maggior parte della popolazione è di etnia mongola ma ormai quasi del tutto assimilata ai tibetani dell’Amdo.
Hanno però conservato alcuni caratteristiche peculiari dei mongoli: la tenda circolare ger e vestiti e gioielli, leggermente diversi. Quasi tutti parlano tibetano e pochi hanno preservato il mongolo. Comunicazione orale Nyida Chenagtsang (Roma, 2005). Cfr. Gyurme Dorje, Tibet , Footprint (terza edizione), pp. 599, 604, 610, 613.
Secondo alcuni tibetani, anticamente il nome Rebkong si riferiva a tutta quella che è oggi la prefettura di Huangnan, comprendendo quindi anche Jentsa (gCan tsha) e Tsekok (rTse khog) e Sokwo (Sog bo) e includendo anche l’area di Trika. Così mi è stato riferito da Hungchen Cenagtsang e da più di una persona del posto (Xining, Rebkong, 2006).Il distretto di Rebkong oggi è diviso in undici contrade (xiang). Tre di queste sono abitate da nomadi mentre la altre otto da agricoltori. Comunicazione di un insegnante di Jangkya confermatami poi da altri locali.
5sCang skya; Rong bo; Nyan thog; sGo dmar; Tho rgya.
9mZod dge; kLu chu. Ad eccezione di Ngawa sono tutte zone di nomadi.
10 Cfr. Berzin A. “Historical Sketch of the Muslim in China”, 4 – 1995. www.berzinarchives.com .
11 Pitture su tela raffiguranti divinità, mandala, grandi maestri, ecc. Possono essere anche composte con vari pezzi di seta colorata. Le tangkha di Rebkong sono molto famose in Tibet.
12Drogön Chögyal Phakpa (1235-1280) era il precettore imperiale di Qubilai Qan e con il suo appoggio dominò su vaste aree del Tibet. Il suo potere giunse fino nel Kham e nell’Amdo sfidando le confederazioni tribali e i regni orientali che godevano di una certa indipendenza. In Tibet sotto il protettorato mongolo, nonostante il potere nominale fosse nelle mani dei qan, quello effettivo era nelle mani dei Sakyapa. Cfr Cornu P. 2003, op. cit.; Davenport J. T., Ordinary Wisdom, Sakya Pandita’s Treasury of Good Advice, Boston: Wisdom Publication 2000, pp. 1-4.
13 Jetsun Kalden Gyatso o Drupchen Kalden Gyatso (1607-77), Rje btsun sKal ldan rgya mtso o Grub chen sKal ldan rGya mtso. Un grande maestro considerato un’emanazione di Śāripūtra, autore di bellissime poesie e canti di realizzazione e il suo stile di vita e i suoi insegnamenti influenzarono molto quelli di Shabkar Tsokdruk Rangdröl e di altri maestri di Rebkong. Era conosciuto come Kalden Repa (sKal ldan Ras pa) e Kachu Rinpoche (bKa’ bcu Rin po che). Nel 1648 fondò il centro di ritiro di Thashikyil (bkra shis ‘khyil sgrub sde). Il suo maestro Chöpa Rinpoche Lobzang Tenpai Gyaltsen (1581-1659), Chos pa Rinpo che bLo bzang bsTan pa’i rGyal mtshan, fu un’altro famoso eremita. Cfr. Ricard 1994, op. cit., pp. 21-22.
14Vedi ‘Jigs med Theg mchog, Rong bo don chen gyi gdan rabs rdzogs ldan gtam gyi rang sgra zhes bya ba bzhugs so, Qinghai: Mi rigs dpe skrun khang 1988.
15 Lungo la khora stanno restaurando le file di ‘ruote di preghiera’ che vi sono affisse. Queste sono dei rulli di varie dimensioni con all’interno scritture e mantra che vengono fatte girare dai fedeli e sono solitamente chiamate Mani-khorlo (nel Bön, matru-khorlo, infatti in questa tradizione il mantra più usato non è il “Mani”: Om Mani Padme Hum ma è, come lo chiamano i fedeli, il “Matri”: Om Matri Muye Sale Du/ Om Ma Tri Mu Ye Sa Le ‘Du ). Cfr. Stein R. A., op. cit., p. 211.
16Labrang Tashikyil (Bla brang bKra shis dkyil) è il monastero più potente dell’Amdo fondato nel 1708-10 dal primo Jamyang Shepa, Ngawang Tsongdru (1648-1722) sotto il patronato del principe dei mongoli Qosot Wang Gyalpo Junang Tsewang Tendzin. Comunicazione orale di un anziano di Labrang. (Labrang, 2005). Cfr. Ricard 1994, op. cit., p.365-367; Cornu P. 2003, op. cit., p. 317.
17 Comunicazione orale di Nyida Chenagtsang, Hungchen Chenagtsang, di altri ngakpa di Rebkong e alcuni anziani di Labrang. (Roma, Xining, Rebkong, Labrang 2005-2006).
18 Non esiste una parola specifica in italiano che possa tradurre il termine tibetano lhakhang, che sarebbe una stanza o costruzione khang dove sono poste delle immagini o statue di divinità lha, lo stesso vale per manikhang che è una costruzione dove è posta una ruota di preghiera mani khorlo, o per ngakkhang, una costruzione dove si pratica il Tantra ngak o dove si riuniscono dei praticanti tantrici, ngakpa (il Dott. Nyida Chenagtsang usa il termine ngakpa house o “casa di ngakpa”). In tutti è tre i casi ho scelto come traduzione la parola santuario dall’inglese “shrine room” o “shrine hall” che, a mio parere, è più comunemente usato e facilmente comprensibile. Nei villaggi che ho visitato mi è sembrato che spesso i tibetani non fanno molte distinzioni tra lhakhang, ngakkhang e manikhang.
19 Un anziano del villaggio di Jongmang a Ngawa mi ha riferito che i muri esterni delle loro case devono essere rafforzati applicando del nuovo impasto ogni tre o quattro anni per evitare che la casa ceda. (Jongmang, 2006).
20 Questa è solo una descrizione generale, bisogna tener presente infatti che alcuni elementi, quali la disposizione dei locali, l’arredamento e i materiali usati per il rivestimento, possono variare a seconda delle zone, delle caratteristiche dell’ambiente e della situazione economica del villaggio o dei singoli proprietari. La tipologia dei villaggi e delle case dei contadini del nord dell’Amdo resta comunque più o meno la stessa.
21 Tutte queste informazioni mi sono state riferite dai ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja, e da alcuni abitanti del villaggio di Jangkya (Gyawo Chuja, Jangya, 2006).
23 Le bandiere del lungta o “cavallo di vento”, rituale che ha la funzione di trasferire dalla negatività alla positività, dalla sfortuna alla fortuna, tutto ciò che è basato sui cinque elementi. Sono di cinque colori e su ognuna di esse è raffigurato il cavallo di vento circondato da altri quattro animali: la tigre, la leone delle nevi, il garuda e il drago. Ogni animale è associato ad un elemento ed ogni elemento a un colore: cavallo-spazio, tigre-vento, leone-terra, garuda-fuoco, drago-acqua. Cfr. Namkhai Norbu 1996, op. cit., pp. 130-136.
24 Un entità non umana, se provocata può causare gravi calamità e malattie. Se invece viene onorata, questa entità può garantire prosperità alla zona, diventandone il protettore. Molto spesso il signore del luogo è associato ad una montagna ma dove non ci sono alture può essere anche una pianura, un albero, una pietra, ecc. Il signore del luogo molto spesso è una divinità mondana e i benefici che arreca sono parziali, limitati solo a questa vita. Infatti, nonostante sia molto potente, come gli altri esseri senzienti, è condizionato dalle emozioni negative e prigioniero del saṃsāra. Cfr. Stein R. A.1986, op. cit., pp. 174 -183.
25 I labtse (la btsas, la rdzas) sono dei grossi mucchi di pietre o altari in muratura su cui vengono conficcati bastoni e copie lignee delle armi degli antichi “dei guerrieri”, soprattutto frecce e lance. A questi bastoni vengono appese o avvolte le variopinte bandiere del lungta, batuffoli di lana bianca e katak. Gli altari possono essere sia a base circolare che a base quadrata. Vengono eretti solitamente sulle cime delle montagne o vicino ai passi montani. Sono anche chiamati pamkhar (dpa’ mkhar) “castelli di guerrieri” e costituiscono il ‘supporto’ per onorare le divinità del luogo. Cfr. Stein R. A. 1986, op. cit., p. 176.
29 Comunicazione orale di un abitante del villaggio (Janggya, 2006).
30Le sinmo (srin mo) o raksasi sono una potente classe di demoni femminili che mangiano carne umana. La sua versione maschile è chiamata sinpo (srin po) o raksasa. Ricard 1994, p. 672.
31 Qui a Rebkong si dice che Padmasambhava sia apparso in più luoghi e abbia sottomesso sinpo, sinmo e ogni sorta di esseri malvagi.
33 Diminutivo di Tamdringya (rTa mgrin rGyal) “Hayagriva il Vittorioso”. Tamdrin è il nome tibetano di Hayagriva. Gyal significa “vittorioso” e nel dialetto locale viene pronunciato gya. Nel lignaggio Nyingmapa la pratica di Hayagriva (uno degli Otto Heruka) è considerata molto importante e qui a Rebkong sono molti ad avere questo nome.
34 Thögal (thod rgal) la pratica più avanzata dello Dzogchen. Cfr. Ricard 1994, ivi., p 23.
35 Comunicazione orale di Ngakpa Wangdegya di Gyawo Gang (Khyung Gӧn, 2006).
Il “protettore del dharma” o dharmapāla (chökyong/chos skyong) è un entità che ha il compito di proteggere i praticanti e gli insegnamenti Vajrayāna e Dzogchen. Rāhula (Za/gZa) è una manifestazione di Vajrapāni che governa le forze planetarie ed è uno dei principali prottettori dei Nyingmapa e in particolare dell’insegnamento Dzogchen, insieme a Ekajaṭī e a Vajrasādhu o Dorje Legpa (tib. rdo rje legs pa).
Cfr. Cornu P. 2003, op. cit., pp. 159-166.
36Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering di Gyawo Chuja (Gyawo Chuja, 2006).
38Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering il Vecchio, l’uomo più anziano di tutto il villaggio. Questa storia mi è stata poi riraccontata più dettagliatamente da Nyida Chenagtsang. (Gyawo Chuja, Roma, 2006).
39 Comunicazione orale del ngakpa Shawo Tsering il Vecchio (Gyawo Chuja, 2006).
Taklung Shelgi Riwo (sTag lung Shel gyi Ri bo), dove meditò Shelgi Ode Gung Gyal, uno degli Otto Grandi Realizzati di Rebkong. Cfr.Ricard 1994, op. cit., p. 22.
40Comunicazione orale di Nyida Chenagtsang (Roma, 2006).
42 Cfr Ricard 1994, op. cit., p.18.La Tradizione Antica è quella Nyingmapa.
43 Nyintha, Chumar (Chu dmar), Gotse (Go tshe), Nyingya (gNyin rGyal), Shyeru (Phyed ru), Wönru (dPon ru), Kashul (Ga shul), e il paese di Gendun Chöpel: Shohong Shyi (Sho ‘phong dpyis). Così mi ha scritto il Professor Dorjegya docente di Lingua Tibetana alla scuola superiore Normale delle Minoranze di Rongwo (Rongwo, 2006).
44I locali chiamano il villaggio Nyangya Ngogongma (gNyan rgyal Ngo gong ma).
45Nearby are Rekong’s Eight Places of the Accomplished Ones and many hallowed spots where Lord Kalden Gyatso once practiced. The most eminent of these sacred places is Shohong lhakha, the actual palace of Chakrasamvara, located near the temple of Chuchik Shel. Both farmers and nomads live in this land of cliffs, forests, and flower-filled meadows. Here, by following the practice of Chakrasamvara and Vajrayogini, the great tantric practitioner known as Kawa Dorje Chang Wang, who had come from Eastern Kathok, attained the vajra rainbow body in a single lifetime. In this region, ten villages of various sizes lie scattered in all directions. Among these is Nyengya, a village at the foot of the local god Jadrön’s mountain abode. This is my homeland, the place of my birth. Cfr. Ricard 1994, op. cit., p.15.
46 Comunicazione orale di un ngakpa che era in ritiro nel ngakkhang (Shohong, 2006). Il ngakpa, inoltre, mi ha detto che lo scritto appeso alla parete era uno scritto di Shabkar e che, in un luogo nascosto, ci sarebbero stati anche il suo cappello di loto e il suo phurba. Hungchen Chenagtsang ha in seguito smentito questa ipotesi (Xining, 2006).
Qualche mese fa se ne andato il grande maestro del Monastero di Yuthok nell’Amdo, Karma Sönam Rinpoche. Dopo aver annunciato che il suo momento era arrivato, è entrato in meditazione e dopo qualche giorno il suo corpo è diventato sempre più piccolo. Karma Sönam aveva 93 anni ed era un importante lama della tradizione Karma Kagyu e praticante del chöd, tra i tanti segni straordinari di realizzazione ha lasciato l’impronta della sua mano nella roccia.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo due anni fa, Rinpoche era molto vecchio e benediceva le persone dalla finestra della sua casa nel monastero gettando del riso.
Qui sotto riporto una mia traduzione della versione cinese del testo tibetano che racconta le vicende del parinirvāṇa di Tulku Karma Sönam:
Ecco in breve come sono andate le cose:
Rinpoche quest’anno aveva annunciato che non sarebbe rimasto in vita ancora a lungo, suo nipote voleva costruirgli una nuova casa e, quando ne parlarono, Rinpoche disse che tutto era impermanente, che questo sarebbe stato il suo ultimo anno in questo mondo e che non c’era bisogno di costruire una casa, non aveva bisogno di ricchezze o cose di questo tipo. Grazie alla sua chiaroveggenza sapeva che questo sarebbe stato l’anno del suo parinirvāṇa.
All’inizio dell’autunno, Rinpoche si era molto indebolito e i monaci si erano preoccupati e lo avevano pregato di andare in un grande ospedale, per accontentarli Rinpoche si era fatto portare all’Ospedale del Popolo della Contea di Dzamthang per farsi visitare ma non ha voluto rimanere a lungo e il giorno dopo è tornato al Monastero di Yuthok.
Alle persone più vicine aveva detto: “Dopo che sarò morto avvertite Dodrupchen Rinpoche, a parte questo non c’è bisogno di fare nient’altro. Quando i monaci dagli altri monasteri verranno in visita, fategli dei regali, non fateli tornare indietro a mani vuote. Dopo che sarò morto non c’è bisogno che facciate per me delle opere buone, io non ho nemmeno i soldiper farle…”. Così aveva richiesto più volte.
“Le due statue e il dorje e la campana che ho usato nella pratica sono molto belle e preziose, lasciatele nella mia stanza come oggetti benedetti. Non fate costruire al monastero uno stūpa reliquario per me, se ce ne fosse proprio bisogno lasciate costruire uno stūpa d’ottone a mio nipote e nient’altro.”
Tra le altre cose Rinpoche aveva detto più volte che il suo trono nella terra pura di Sukāvatī era vuoto e che, una volta rinato lì, avrebbe beneficiato tutti gli esseri senzienti che avevano avuto una connessione con lui. Prima di andarsene Rinpoche aveva chiesto a suo nipote Tulku Sangye Tenzin se fosse l’ottavo giorno del mese del calendario tibetano e aveva risposto da solo che era il sette e che l’indomani sarebbe stato l’otto.
Il giorno dopo Tulku Sangye Tenzin guidò la pratica, Rinpoche alzò il pollice in segno di ringraziamento e entrò in meditazione, nel perfetto stato di Mahāmudrā e per la felicità dei discepoli che avrebbero voluto vederlo ancora per tanto tempo, mantenne la posizione del nirvāṇa come una persona ancora in vita.
Alle dieci passate dell’8° giorno le persone del monastero hanno chiamato in India Sua Santità Gyalwa Karmapa, Tai Situ Rinpoche e Dodrupchen Rinpoche e gli hanno riferito la notizia del trapasso di Karma Sonam e, seguendo le loro istruzioni, il consiglio del monastero ha mandato il maestro vajra Lama Karma Loyak e Khenpo Tulnam a svolgere gli ultimi rituali vicino ai resti del corpo di Rinpoche.
Il 18° giorno del calendario tibetano ( il 10 novembre 2014) è cominciata ogni giorno a venire una folla di circa 6-7 mila monaci e laici a rendere omaggio ai resti del corpo di Rinpoche.
Quelli che sono venuti a rendere omaggio dovranno recitare 100.000 volte il nome di Amitābha, quelli che hanno preso il sale che avvolgeva i resti dovranno recitare 100.000 volte il mantra di Avalokiteśvara e quelli che hanno preso dei pezzi del vestito dovranno recitare 100.000 volte il mantra di Vajrasattva.
I monaci del nostro monastero dovranno promettere di impegnarsi nelle dieci azioni virtuose e di contribuire all’unione delle Tre Regioni (Ü-Tsang, Do Kham, Do Me) e fare il possibile per smettere di mangiare la carne. I monaci giovani dovranno promettere di mantenere i voti in modo puro e di ascoltare e riflettere bene sugli insegnamenti e i monaci anziani dovranno promettere di praticare i Sei Yoga di Nāropā e di praticare sempre gli insegnamenti di Rinpoche.
Il corpo di Karma Sonam Rinpoche dopo sette giorni di meditazioneImpronta della mano di Rinpoche nella roccia.
Nella credenza popolare dei tibetani il ngakpa1è visto spesso come un mago che, con i suoi ngak2o “formule magiche”, è in grado di manipolare a suo piacimento i fenomeni del mondo materiale e che può anche provocare sciagure e malanni. Per questo il popolo spesso ne ha timore.
Questa figura appare in più di un racconto. Nella vita del grande yogi3 Milarepa, ad esempio, si racconta che egli da giovane abbia studiato la magia nera presso uno di questi maghi per vendicarsi degli zii che avevano privato lui e la madre di tutte le ricchezze, riducendoli a dei miserabili. Milarepa fece crollare la loro casa durante il matrimonio del cugino, causando la morte di trentacinque persone. Fece poi cadere una violenta grandine sui campi del villaggio, rovinando i raccolti di coloro che non avevano sostenuto la madre nei momenti difficili.4Ma ngak significa anche mantra e quindi il ngakpa è “colui che recita i mantra”, il praticante del Mantra Segreto, degli yoga del Tantra e dello “yoga primordiale” Ati Yoga o Dzogchen. Qui per yoga non si intende semplicemente una serie di esercizi fisici e respirazioni come nell’Hatha Yoga della tradizione indiana, ma qualcosa di molto più profondo.
Yoga, che a volte è tradotto come “unione”, in tibetano si traduce con naljor:5 Nal o nalma6 è la nostra condizione reale così come è, senza nulla da cambiare o modificare e jor significa avere questa conoscenza.
Il vero yogi, il naljorpa, è appunto chi possiede questa conoscenza concretamente e non solo a livello intellettuale.
Anche se ai termini ngakpa e yogi è spesso dato lo stesso significato penso sia opportuno delinearne una differenza: lo yogi è un ngakpa realizzato, quindi si può dire che uno yogi è anche un ngakpa ma non necessariamente un ngakpa è anche uno yogi.
L’insegnamento del Tantra è chiamato anche la “via della trasformazione” e ha un approccio completamente diverso da quello dei Sūtra che è chiamato la “via della rinuncia”. Infatti, mentre quest’ultimo vede le emozioni affliggenti (scr. kleśa) come qualcosa di negativo a cui rinunciare per mezzo di voti e allenamenti mentali (tib. lojong)7 impiegati come antidoti, il primo ne vede la potenzialità intrinseca e utilizza queste emozioni sul sentiero della liberazione trasformandole in saggezza.
Nel III sec. d.C. il Tantra era già diffuso in India e in Asia Centrale, i suoi praticanti erano soprattutto laici e la loro comunità era distinta da quella dei monaci che studiavano e praticavano gli insegnamenti dei Sūtra seguendo le regole del Vinaya.8
Nella sua forma fisica o nirmanakāya, il Buddha Śākyamuni si limitò a rivelare l’insegnamento dei Sūtra e solamente molti secoli dopo trasmise insegnamenti del Tantra, apparendo nella forma di Vajradhāra, Ghuyasamāja, Hevajra e altre manifestazioni del sambhogakāya a grandi realizzati o mahāsiddha.9
La tradizione indo-tibetana riporta le storie di ottantaquattro mahāsiddha famosi per i diversi metodi usati per raggiungere l’illuminazione e per i loro straordinari poteri.
Infatti, attraverso i numerosi mezzi abili (scr. upāya) della tradizione tantrica, seppero usare la loro situazione particolare come via per raggiungere l’illuminazione. Il loro comportamento, i loro attaccamenti e talvolta i loro difetti fisici erano il loro oggetto di meditazione, il loro sadāna (tib. drubthab):10 il mezzo per ottenere la realizzazione suprema e quelle ordinarie.
Tilopa raggiunse l’illuminazione macinando semi di sesamo per fare l’olio; Salipa che aveva il terrore dei lupi ricevette l’istruzione di considerare tutti i suoni come uguali all’ululato del lupo; Kotali il montanaro imparò a praticare le pāramitā scalando la montagna della mente; Tandhepa, che era un giocatore inveterato perse tutti i suoi beni ai dadi e si illuminò quando realizzò che tutto il mondo era vuoto come la sua borsa.11
Saraha, “il Grande Brahmino” (tib. Bramze Chenpo), incontrò la figlia di un artigiano che fabbricava frecce che lo istruì su come superare la dualità usando come simbolo la freccia che stava preparando in quel momento e, poiché si guadagnò da vivere fabbricando frecce, fu conosciuto con il nome di Saraha “Colui che ha tirato la freccia” o il “Sagittante”.
Mahāsiddha Tilopa
I mahāsiddha appartenevano a tutte le classi sociali: tra loro vi erano re e ministri, brahmini, poeti e musici, madri di famiglia e prostitute, ecc. Molti di loro erano mendicanti senza una fissa dimora, mercanti e artigiani che svolgevano i lavori considerati piùdegradanti, mescolati alla gente delle caste più basse. Allo stesso modo dei kāpālika hindu, mistici folli che conducevano una vita libera da tutte le convenzioni sociali dell’India dell’epoca,passavano la notte nei luoghi dove venivano cremati o fatti a pezzi i cadaveri, mangiavano carne, interiora crude e altre sostanze putride, bevevano alcol e avevano rapporti sessuali con prostitute, donne di umili origini e fuori casta.12
Tutti questi elementi avevano la funzione di portare l’individuo al di là dei propri limiti ed erano considerati dei potenti mezzi per realizzarsi. Questi yogi davano più importanza all’esperienza diretta degli insegnamenti che alla speculazione filosofica studiata nelle grandi università buddhiste indiane di Nālandā e Vikramaśīla.
Molti dei loro insegnamenti non erano espressi a parole e concetti ma con dei gesti o in forma di canzoni (tib. nyam gur),13che sorgevano spontaneamente dal loro stato ‘risvegliato’.14
Nāropa studiò molti anni all’università di Nālandā ed era molto abile nei dibattiti filosofici ma fu solo Tilopa a risvegliarlo alla sua ‘condizione reale’, colpendolo improvvisamente in testa con un sandalo.15
Guru Padmasambhava
In particolare nell’VIII sec. è stato Padmasambhava a portare per primo in Tibet gli insegnamenti del Mantra Segreto, sotto invito del re Trisong Deutsen (742-797), e a dare inizio al lignaggio16che poi prenderà il nome di Nyingmapa, o degli “antichi”.
Questi era nato in Oddiyāna,17 un regno a nord-ovest dell’India che molti identificano con la valle dello Swat in Pakistan, al confine con l’Afghanistan18 ma che avrebbe potuto essere anche molto più vasto e comprendere altri paesi centro-asiatici di religione buddhista.
Nella tradizione tibetana l’Oddiyāna è la terra delle dākinī,19 entità femminili di saggezza, detentrici degli insegnamenti segreti trasmessi poi ai mahāsiddha e a Padmasambhava.20
Dākinī Kārmeśvarī
Quando Guru Padmasambhava si trovava in Tibet, diede per la prima volta l’iniziazione delle “Otto Grandi Sādhana” o Kabgye21 ai suoi venticinque discepoli nelle grotte di Chimphu nei pressi del monastero di Samye. Tra gli iniziati c’erano la sua principale consorte Yeshe Tsogyal, il re Trisong Deutsen e il ngakpa Nupchen Sangye Yeshe. Poiché queste pratiche costituiscono l’essenza degli insegnamenti tantrici da lui trasmessi in questa terra, i venticinque discepoli di Padmasambhava si possono considerare i primi praticanti del Tantra o Mantra Segreto (tib. Sangngak) del Tibet: i suoi primi ngakpa.
Nonostante esistano varie classificazioni del ngakpa a seconda della scuola o del lignaggio a cui appartiene, possiamo essenzialmente parlare di tre differenti tipi di praticante tantrico rappresentati chiaramente nel lignaggio Kagyu:
1) il ngakpa che conduce una vita familiare (tib. kyimngak),come Marpa il traduttore che aveva moglie e figli.
2) il ngakpa che ha rinunciato alla vita nella società e mantiene il voto di celibato (tib. serngak).In questa categoria rientra il ngakpa asceta itinerante come Milarepa, che passò molti anni in ritiro in grotte sulle montagne ed altri luoghi isolati, vagando senza fissa dimora o come il famoso yogi di Rebkong Shabkar Tsokdruk Rangdröl.
3) il ngakpa monaco (il monaco che pratica il Mantrayāna), il “detentore del vajra dai tre voti” (tib. sumden dorje zinpa): quello esterno del Prātimokṣa, quello interno del Bodhisattva e quello segreto del Mantra Segreto.
Il ngakpa monaco studia e pratica una combinazione degli insegnamenti dei Sūtra e dei Tantra: un esempio è quello di Gampopa (1074-1155), discepolo del grande yogi Milarepa.
Gampopa era un monaco ordinato e deteneva sia il lignaggio tantrico della Mahāmudra e degli yoga di Nāropā sia i lignaggi Sūtra di Atīśa. Un altro esempio e quello di uno dei venticinque discepoli di Padmasambhava: Vairocana il Traduttore.
Anche se il monaco che pratica il Tantra costituisce un tipo di ngakpa, generalmente oggi, quando si parla di ngakpa, si intende nella maggior parte dei casi il praticante tantrico laico non legato alla vita monastica e che , nella maggior parte dei casi, conduce una vita familiare, per lo più la figura del kyimngak.
Questi ngakpa, infatti, possono formarsi una famiglia e svolgere un lavoro che permetta loro di mantenersi e, accanto alle attività principali che sono l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, si possono dedicare a molti altri lavori come ad esempio quello di medico, insegnante, scrittore, commerciante, ecc. e, nei piccoli centri rurali, rappresentano ancora oggi un importante punto di riferimento per la popolazione locale.
Essi vivono infatti nella società laica con tutte le sue difficoltà e sofferenze con le sue gioie e le sue contraddizioni, terreno fertile per i‘tre veleni’22a cui non rinunciano ma che invece utilizzano come mezzi lungo il sentiero spirituale.Questo stile di vita è completamente opposto a quello dei monaci che vivono lontani dalle città e la cui vita è espressione della loro rinuncia: quella esteriore della vita sociale e quella interiore delle emozioni affliggenti.
Un insegnamento ngakpa essenziale è: “vivi così come è” ed è rappresentato dalla loro usanza di non tagliarsi i capelli e dal colore bianco del loro abito che rappresenta la purezza originaria della mente, fondamentalmente libera dall’illusione e dalle emozioni negative che ne derivano.
Yeshe Tsogyel
Le donne che praticano il Tantra sono chiamate ngakma23ed hanno un ruolo molto importante.
In passato in India, in Tibet e nello Shang Shung hanno vissuto grandi yoginī24 come Yeshe Tsogyal (VIII sec.),25 Mandarava (VIII sec.), Niguma (X-XI sec.), Sukhasiddhi (X-XII sec.) Machik Labdrön (1031-1129),26 Jomo Menmo (1248-1283), Sera Khandro (1892-1940), Ayu Khandro (1839-1953) e Öden Barma nella tradizione dello Yungdrung Bön e altre ancora.
Oltre ai primi discepoli di Padmasambhava, alcuni famosi yogi tibetani del passato furono Jigme Lingpa (1729-1798) nella tradizione Nyingmapa, i Khön Könchok Gyalpo (1033-1102) e Sachen Kunga Nyingpo (1092-1158) in quella Sakyapa, Marpa (1012-1097) e Milarepa (1040-1123) nella tradizione Kagyupa, Drom Tönpa (1005-1064) in quella dei Khadampa, il famoso costruttore di ponti Thangtong Gyalpo (1361-1485) detentore di vari lignaggi, Drenpa Namkha, Tapihritsa (VII-VIII sec.) e Shardza Tashi Gyaltsen (1859-1935) nella tradizione dello Yungdrung Bön e molti altri ancora.
JñānakumāraNamkhai NyingpoNupchen Sanggye Yeshe
Maestri vissuti in tempi più recenti sono stati anche Dudjom Rinpoche (1904-1987), Dilgo Khyentse Rinpoche (1910-1991), Chögyam Trungpa (1939-1987) e Chagdud Tulku (1930-2002) e Chimed Rigdzin (1922-2002) che negli ultimi decenni hanno dato molti insegnamenti in occidente.
Chögyal Namkhai Norbu, Dzongsar Khyentse Rinpoche, Sakya Tridzin e i suoi figli sono solo alcuni esempi di yogi contemporanei che continuano a diffondere molti insegnamenti in tutto il mondo, in particolare quelli del Tantra e dello Dzogchen.
Una delle zone in cui più si è concentrata la tradizione degli yogi è Rebkong nell’Amdo (Tibet nord-orientale), appena a sud del Fiume Giallo. Gli abitanti del luogo sono per lo più agricoltori ma le aree più alte e lontane sono abitate anche da alcune comunità di nomadi come nel caso di Tsekok
Rebkong è un importante centro culturale, famoso per i suoi santi, artisti e studiosi, terra di Gendun Chöphel (1903-1951),27 autore di molte opere di grandissimo valore spirituale e letterario tuttora studiate dai tibetani, e dello yogi Shabkar Tsokdruk Rangdröl (1781-1851),28 da molti considerato una manifestazione di Milarepa.
A Rebkong i gruppi di ngakpa vengono chiamati ngakmang e accanto al più numeroso gruppo della tradizione Nyingmapa ne esiste anche uno dello Yungdrung Bön che per distinguersi dai ngakpa Nyingmapa hanno preso il nome di bönmang.29Questi gruppi si dividono a loro volta in vari sottogruppi: ngakmang di differenti lignaggi all’interno della stessa tradizione religiosa, ngakmang di una zona, o di un villaggio.
Lo yogi Palchen Namkha Jigme, dicepolo di Alak Gyawo, dopo aver conferito nei pressi del villaggio di Changlung30 un’iniziazione dei Kabgye a molti ngakpa, diede ad ognuno di loro un phurba di legno.31
Si narra che ne furono consegnati mille e novecento e, per questo, da quel giorno i ngakpa di Rebkong vennero chiamati la comunità de’ “I Mille e Novecento Detentori di Phurba”.
Villaggio di Chanlung, RebkongNgakpa di Jangkhya e di Changlung
In passato i ngakpa di Rebkong erano conosciuti e temuti in tutto il Tibet. Vi erano ngakpa capaci di volare, di invertire il corso di un fiume, di fermare il sole affondando il proprio phurba nel terreno e non erano pochi quelli che hanno avuto la realizzazione in una sola vita manifestando il ‘corpo di arcobaleno’.
Oggi a Rebkong, nonostante i ngakpa siano sempre numerosi e sono sempre di più quelli che considerano l’essere ngakpa alla stregua di un lavoro e “praticano solo per riempire le loro ciotole” come dicono con sarcasmo alcuni tibetani.
Ma, nonostante le vicende storiche passate, la progressiva modernizzazione e i problemi di quest’epoca oscura, oggi in Tibet e a Rebkong vivono ancora dei maestri altamente realizzati, la maggior parte dei quali, ha raggiunto più di settanta o ottant’anni e rappresenta una guida rara e preziosa per le generazioni future di praticanti del Dharma, nella speranza che questa preziosa tradizione continui ad essere preservata.
Oggi infatti in un mondo globalizzato che va sempre di più verso la modernizzazione, le persone sono sempre più prese dalle vicissitudini della vita, sono impegnate a perseguire i propri obbiettivi materiali e pratici ma allo stesso modo sentono che tutto questo non è sufficiente a dare un senso alla loro esistenza.
C’è quindi la necessità di conciliare la dimensione materiale con quella spirituale e, per realizzare questo scopo, non è necessario abbandonare la vita mondana e ritirarsi in solitudine, questo infatti potrebbe semplicemente essere un altro modo per astrarsi dalla realtà e non porterebbe a nessuna vera comprensione di noi stessi.
La vita del ngakpa, quindi, ci mostra come sia possibile vivere nel mondo seguendo un cammino spirituale senza troppe rinunce, confrontandosi con la situazione in cui ci si trova al momento, qualunque essa sia.
Da secoli i ngakpa hanno vissuto e continuano a vivere in questo modo, come direbbe Trungpa Rinpoche : “unendo il Cielo con la Terra”.
12 “i kāpālika buddhisti e quelli hindu si ritrovarono così a frequentare i medesimi luoghi e, per un periodo, crebbero insieme, scambiandosi conoscenze e pratiche”. Baroetto G. , Hevajra Tantra, Roma: Astrolabio Ubaldini 2004, p. 8; vedi anche Reynolds J. M., “The Mahasiddha Tradition in Tibet”, www.vajranatha.com;
13nyams mgur. Per esempi di nyam gur cfr. Donatoni R. 2002, op. cit.; Riggs N., Like an Illusion, Lives of the Shangpa Kagyu Masters, Oregon : Dharma Cloud Press 2001, pp. 288-289; Ricard M. 1994. op. cit.
14 Reynolds J. M., “The Mahasiddha Tradition in Tibet”, www.vajranatha.com ; Cornu P. ,2003, pp. 353-355.
Per le vite degli ottantaquattro mahāsiddha vedi anche Dowman K., Masters of Mahamudra, Songs and Histories of the Eightyfour Buddhist Siddhas, Albany, State University of New York Press 1985.
15Cornu P., 2003, op. cit. pp.405-407, 681-683; Patrul Rinpoche 1994, op cit. pp.145-146; Kalu Rinpoche 2000, op. cit., pp. 200-202.
16In questa accezione ilil termine identifica una successione ininterrotta di maestri che detengono un certo tipo di insegnamenti.
19Le dākinī sono delle entità femminili molto potenti. In Tibet sono chiamate khandro (mkha’ ‘gro ma): “coloro che percorrono lo spazio”. Ci sono le dākinī di saggezza (yeshe khandroma/ye shes mkha ‘gro ma), esseri illuminati che hanno realizzato il profondo significato degli insegnamenti segreti e li proteggono. Possono trasmettere la conoscenza ai praticanti per aiutarli sulla via.
Ci sono poi le dākinī mondane (jikrten khandroma/‘jigs rten mkha’ ‘gro ma), esseri ancora vincolati dall’esistenza condizionata o saṃsāra, i cui poteri possono influenzare, spesso anche negativamente, solo eventi mondani. Vajrayoginī, Mandāravā, Simhamukhā, Ekajatī e Śridevī sono tutte dākinī di saggezza. Quando lo yogi Khyungpo Naljor incontra la dākinī Simhamukha dal volto di leone, ella gli dice: “L’istruzione suprema è riconoscere la dākinī come la tua propria mente.”
Reynolds J. M., “Wisdom Dakinis, Passionate and Wrathful” www.vajranatha.com; De Falco C., La biografia del grande Maestro Padmasambhava di Taranatha, Arcidosso: Shang Shung Edizioni 2002, p.18. Cornu P. , 2003, ivi, pp.149-150. Cfr. Riggs N. 2001,op. cit. ,pp.10-13, 34-43; Kalu Rinpoche 2000, op. cit. , pp. 190-191, 233-237; Simmer-Brown J. , Dakini’s Warm Breath, The Feminine Principle in Tibetan Buddhism, Boston: Shambala 2001. Per una raccolta di biografie su Padmasambhava vedi Ngawang Zangpo, Guru Rinpoche, His Life and Times, Ithaca, New York, Boulder Colorado: Snow Lion Publication 2002.
20De Falco C. 2002, ivi, pp. 17-20; Cornu P. , 2003, ivi, pp. 432-433, 445-450.
21 bKa’ brgyad. Le Otto Grandi Sādhana (Drup De Chenpo Gye/sGrub sde Chen po brGyad). Le Sādana degli Otto Heruka. Guru Padmasambhava ricevette queste trasmissioni dagli Otto Vidyādhara (rigdzin/rig ‘dzin) negli Otto Grandi Carnai Indiani. Gli Otto Heruka: 1) Yangdak Heruka (yang dag he ru ka) di colore bianco a est , 2) Jampel Ku (’jam dpal sku- Yamāntaka) di colore giallo a sud, 3) Pema Sung (pad ma gsung– Hayagrīva) di colore rosso a ovest, 4) Phurba Thrinle (phurpa ‘phrin las-Vajrakīla) di colore blu a nord, 5) Dudtsi Yontan (bdud rtsi yon tan) a sud-ovest , 6) Mamo Pötong (ma mo rbod gtong) a sud-est, 7) Jikrten Chötö (’jig rten mchod bstod) a nord-ovest e 8) Möpa Drak Ngak (dmod pa drag sngags) a nord-est. Al centro si trova Chemchok Heruka, (che mchog he ru ka) “ il Grande Heruka Glorioso” di colore blu scuro, emanazione terrifica del Dharmakāya Samantabhadra, oppure Lama Rigdzin (bla ma rig ‘dzin– Guru Vidyādhara), divinità che sintetizza in sé il principio degli otto vidyādhara o l’essenza di Padmasambhava. Cornu P. , 2003, op. cit. , pp. 283-285. Ricard 1994, op. cit. , p. 602.
22 I “tre veleni” (dug sum/ dug gsum) sono le tre principali emozioni che affliggono la mente.
25 Per la vita e gli insegnamenti di questa yoginī vedi Dowman K., La Danzatrice del Cielo, La Vita Segreta e i Canti di Yeshe Tsogyal, Roma: Astrolabio Ubaldini 1985.
26Viene riportata anche quest’ altra data (1055-1145). Cfr Cornu P. 2003, op. cit., p. 335
29 Secondo Hungchen Chenagtsang infatti un gruppo di ngakpa in tibetano si dice ngakmang e bönmang è un nome scelto dai ngakpa Bönpo esclusivamente per distinguersi dal più numeroso e antico gruppo Nyingmapa. Il Bönmang e più unitario e non esistono bönmang di differenti lignaggi. Vedi il capitolo 3.
30 Nel dialetto di Amdo viene pronunciato Shyanglung.
31 Scr. kīla. “Pugnale rituale di forma piramidale a tre lame unite in una sola punta, usato nel Vajrayāna tibetano e nepalese. L’estremità dell’impugnatura è solitamente ornata da una testa (che simboleggia Guru Drakpo) o da tre teste di deità irata (che simboleggiano Vajrakīla), oppure una o tre teste sormontata/e da una testa di cavallo a simboleggiare Hayagrīva). La lama emerge dalle fauci di un makara.” Il makara è un animale leggendario che in Tibet e raffigurato come una sorta di drago con la proboscide. Cornu P., 2003, ivi, pp. 364-365, 480.
Stamattina alle 8.30 sono andato in un giardino pubblico qui a Chengdu per liberare migliaia di pesci (tipo anguille) nel fiume insieme ad un amico cinese e a Sönamkyi, una vecchietta tibetana che chiede l’elemosina vicino a casa mia. Siamo arrivati e il gruppo di cinesi, lama Konsar e gli altri monaci avevano già cominciato le preghiere attirando tutta una folla di curiosi.
Verso le 10 abbiamo preso un autobus e dopo quasi un’ora e mezza tra taxi, autobus e rickshaw siamo arrivati davanti a una casa un po’ isolata in un villaggio vicino a Pixian. Lì siamo andati a trovare un maestro tibetano di Mewa che ci ha aspirato via le malattie con una sciarpa di seta bianca (katak) sputando una sostanza scura in una ciotola.
Tornati a Pixian (altra mezzora d’autobus) siamo rimasti aspettare seduti sui gradini della stazione per una mezz’ora con Sönamkyi, seduta accanto a me, che chiedeva l’elemosina suscitando reazioni di stupore e di disdegno nei passanti. Dopo un’altra mezz’ora d’autobus siamo andati a Pengzhou, lì abbiamo visto un tempio con una copia di cemento dello Stūpa dell’Illuminazione di Bodh Gaya a grandezza naturale che dava all’ambiente un’atmosfera abbastanza surreale.
Dopo esserci fermati in un negozio-ufficio che vendeva strane pillole all’estratto di pino a bere acqua calda, verso le 17.30 abbiamo preso l’autobus di ritorno.
Alle 18.30 siamo scesi a Chengdu in mezzo alla strada e, cercando di prendere un taxi, ci siamo ritrovati in un incrocio sotto un cavalcavia enorme in un delirio totale. Un fiume caotico di macchine, autobus, camion, motorette elettriche e rickshaw che suonavano il clacson ogni secondo mentre cercavano di tagliare la strada agli altri o di infilarsi in diagonale negli spazi tra due vetture.
Siamo rimasti in quel casino per quasi un’ora attraversando di qua e di là la strada senza riuscire a trovare nessun autobus o taxi che ci portasse a casa e, dopo un po’, abbiamo scoperto che sul cavalcavia c’era uno che minacciava di buttarsi di sotto. Miracolosamente poi siamo riusciti a prendere un taxi e a tornare verso il centro.
Sono andato a salutare lama Konsar nel suo albergo nel quartiere tibetano e, abbastanza stanco, mi sono trascinato a piedi verso casa.1 Che domenica!