Gli indovini della città della primavera

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Il 4 settembre alle sei di pomeriggio abbiamo preso un express bus per Kunming che ci avrebbe impiegato diciotto ore.

Siamo partiti a tutta velocità su strade tortuose tra montagne, gole e fitta vegetazione tropicale offuscata qua e là da banchi di nebbia che fluttuavano dilatandosi nell’aria umida, passando attraverso torrenti dalle acque rosso ocra e piccoli villaggi con casette quadrate dai tetti spioventi.

Verso il tramonto siamo rimasti fermi dietro una fila di camion e pulmini che, dietro la curva, si perdeva nel verde. Una parete di roccia era franata sulla strada e abbiamo aspettato circa un’ora prima di ripartire.

La strada era dissestata e in pessime condizioni e la velocità era davvero esagerata, l’autobus saltava lungo il percorso e sembrava di stare sulle montagne russe. Era impossibile dormire bene e mi faceva male lo stomaco.

Durante la notte sono stato svegliato da due guardie dell’APL (Armata Popolare di Liberazione), eravamo al confine della Regione Autonoma dello Xishuangbanna e gli stranieri (io, mia madre, Paula e un cinese birmano) dovevano registrare i loro nomi e mostrare i loro passaporti. Tutto questo nella più completa oscurità, le uniche luci erano i fari del bus e una torcia elettrica.

Siamo arrivati a Kunming la mattina. Un detto cinese dice a proposito di Kunming: “le quattro stagioni sono come la primavera” (si jie ru chun), infatti qui il clima non è molto caldo d’estate e non è molto freddo d’inverno.

La città è piccola, moderna, tranquilla, pulita e molto attiva, insomma forse è una delle città-capoluogo cinesi che mi piacciono di più e anche Marco Polo ne Il Milione scrive di essere stato qui.

Nel pomeriggio, sempre attratto dalla mia ricerca e ispirato da Terzani, ho consultato un indovino.

Era un uomo sulla sessantina con il cappello, vestito in abiti normali, ma che aveva l’aspetto di un vecchio con la barba. Stava seduto su uno sgabello sul marciapiede e davanti a sé, per terra, aveva una carta con i segni del Ba Guagli otto trigrammi dell’Yi JingDopo aver gettato sei volte tre monete forate al centro che teneva infilate in un portachiavi a moschettone appeso al passante dei pantaloni, mi ha dato il responso ma ne riassumerò solo i punti principali da me compresi.

Gli ostacoli alla comprensione sono stati: la mia scarsa conoscenza di molti termini specifici del cinese non usati nella lingua quotidiana (almeno non di frequente); la sua parlata con accento locale a cui non sono ancora completamente abituato e l’arrivo improvviso della polizia in conseguenza del quale, tutti i venditori ambulanti e gli indovini, tra cui il mio, hanno sbaraccato. La nostra conversazione è stata quindi interrotta.

Il vecchio con la barba è tornato poco dopo e ha continuato la sua spiegazione in incognito facendo sembrare il nostro dialogo una conversazione informale, come quella tra due conoscenti.

Ecco i punti più importanti del responso:

1) A ottobre dovrò diffidare di una persona che tenterà d’imbrogliarmi. 2) L’anno prossimo e quello dopo  (il 2001 e il 2002) saranno così così. 3) Il 2004 e il 2005 non saranno buoni per il guadagno ma saranno buoni per la mia cultura personale. Il 2007 sarà buonissimo. 4) Il 2010, il 2011 e il 2012 saranno anni in cui dovrò stare attento a imbrogli e curare particolarmente la mia salute (questi anni coincidono presso a poco con il mio anno critico predetto da Aku Danpa).

Secondo l’anziano i miei anni fortunati e sfortunati si alternano a due a due ma non sarò mai ricco (una delle cose peggiori che si può dire a un cinese).

Ha anche detto che devo stare sempre in viaggio, che non è buono per me tornare nel mio paese e che devo trovare un modo per far girare la mia fortuna in positivo (ma come?).

Insomma l’esperienza è stata bella ma confusa e alla fine gli ho dato la somma stabilita, 10 kuai.

Un ragazzo con una malformazione ad una gamba che si reggeva su due stampelle, vedendo che ero anche  io un invalido, mi ha voluto leggere la mano gratuitamente e ha detto in poche parole:

“Tu hai questo problema fin da piccolo e allora hai rischiato di morire.” (vero).

“Che peccato! Vali molto ma non brillerai” (Me lo diceva sempre anche la maestra!).

“Vivrò a lungo?” “Sì, a giudicare dalle tue orecchie lunghe e sopracciglia folte.” (Bene! Almeno questo).

“Tre cose buone per te”: 1) “non mangiare carne di cane!” (Peccato! Era il mio piatto preferito!); 2) qualcosa che non ho capito; 3) “vai in un tempio a farti recitare le scritture!”

Poi mi ha dato un libricino con la copertina del Ba Gua e dopo aver recitato qualche formula strana mi ha detto di tenerlo tra i due palmi delle mani ed aprirlo ad una pagina a caso. Le pagine avevano pochi ideogrammi neri e rossi scritti in forma arcaica su cui lui basava il responso.

Ho capito solo che il primo responso era negativo e che il secondo era positivo (1-1. Bisogna sapersi accontentare).

Mia madre si era stufata di aspettare e sbraitava alle sue spalle così ho salutato tutti di fretta e sono andato appresso a mamma che intanto era partita in avanti e già non la vedevo più. “Xie xie!” “Zai jian!” (“Grazie!” “Arrivederci!”).

Mi devo ricordare di scrivere della Pagoda Bianca. Ora sono stanco e vado a dormire, domani voliamo per Bangkok.

Prima bevo un’altra tazza di tè al gelsomino.

Prosegue da Tante onde di uno stesso fiume

(Kunming, settembre 2000)

Partenza a sud delle nuvole

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E’ una splendida giornata, stamattina presto il sole illuminava la mia stanza di una luce calda e chiara, sono stato svegliato alle otto meno un quarto da due mie alunne Sönam Yanggye e Sönam Dengye e  un’altra di cui non ricordo il nome. Le due Sönam sono bambine di dieci anni e sono quelle a cui sono più affezionato insieme a Ma Jun, un bambino di poche parole ma dai grandi sorrisi e occhi vispi.

Sönam Yanggye e Sönam Dengye ieri hanno insistito per vedere la mia stanza e si sono messe a spazzare e a riordinarla alla perfezione nonostante avessi detto loro di lasciar stare.

Domani parto per Kunming nella provincia cinese dello Yunnan a una trentina di ore di treno da Lanzhou. Dovrei fare un pezzo di strada con il piccolo lama Benpa e il suo seguito che sono diretti alla montagna sacra Wutai.

Oggi è il giorno dei saluti, ma è solo un arrivederci a presto. Ho lasciato delle mie cose a Dorjetso.

(Labrang, 15 Agosto 2000)

Il 16 sono partito per Lanzhou e il 17 mattina ho preso il treno per Chengdu nella provincia del Sichuan.

Il Sichuan e il Gansu (dove si trova Labrang) sono due province confinanti e, basandomi su quanto mi aveva detto la gente, pensavo che ci sarebbero volute circa 15-16 ore. Ero salito nello scompartimento dei “sedili duri” (ying zuo) senza biglietto e non avevo un posto.

Dopo parecchie ore di treno scoprii che eravamo diretti verso Xian e che, per arrivare a Chengdu, avremmo impiegato  27 ore. Per via delle impervie catene montuose che attraversano il cammino, infatti, il treno deve tornare indietro verso est fino alla città di Xian nello Shanxi e da lì scendere verso Chengdu.

Sono rimasto seduto fino alle sei del mattino per terra sul mio zaino tra un vagone e l’altro, avevo fatto lo sbaglio di aver messo i soldi nello zaino e quindi avevo paura di lasciarlo incustodito, soprattutto non potevo andare in bagno.

Ero in compagnia di un’allegra brigata del Sichuan di ritorno da Lhasa. Un magro ragazzo liceale contadino, e un uomo barbuto muscoloso con un folto pizzetto nero che scherzava sempre, sembrava quasi un pazzo ma era divertente. Insieme a loro c’erano due ragazzi che sorridevano sempre e una ragazza magrissima piena di tagli e segni di bruciature su gambe e braccia che sembravano fatte con dei mozziconi di sigarette o qualcosa di rovente. La ragazza aveva un sorriso e degli occhi bellissimi.

Ad un certo punto in mezzo a noi buttati per terra, si è seduto un giovane basso e tarchiato con i capelli un po’ lunghi e dei tatuaggi che sembrava essersi fatto da solo, non parlava quasi mai, aveva un aria seria e dura  e per questo è stato chiamato da me “il taciturno”. Nel Sichuan sono molti quelli che si tatuano ideogrammi soprattutto sulle braccia, anche il barbuto ne aveva alcuni e, oltre a lui, altri vicino a noi.

Ero immerso nella melodia scherzosa e piacevole del dialetto del Sichuan e mentre sedevamo per terra e parlavamo cominciavano a girare cosce e ali di pollo e poi focacce, frutta, semi di girasole, un pane dolciastro tipo quello delle merendine confezionate e sprite.

Le ultime sei ore di viaggio ho trovato un posto a sedere. Arrivato a Chengdu mi sono fermato in un ristorantino di noodles vicino alla stazione e, dopo un’oretta e mezzo d’attesa alla stazione, sono salito subito sul treno per Kunming anche qui senza comprare il biglietto alla stazione e facendolo direttamente sul treno. Questo sistema che si chiama bu piao infatti permette di evitare le lunghissime file per comprare il biglietto (che cominciano a tre giorni dalla data di partenza) e di prendere il treno all’ultimo momento, ma non permette di prenotare il posto, quindi si rimane quasi sempre in piedi nello scompartimento dei “sedili duri” o comunque seduto non su sedili.

Rispetto ad altri treni che ho preso prima questo treno non è male, è ordinato e pulito, cosa non usuale nei treni cinesi, soprattutto nello scompartimento dei “sedili duri”.

Fuori dal finestrino scorre un paesaggio del Sichuan assolato.

(Chengdu, 18 Agosto 2000)

Ho passato la notte annodato sul sedile con lo zaino come cuscino e mi sento un po’ incriccato, anche se molto meglio di come mi sentivo sul treno per Chengdu. La musica di sottofondo è una canzone disco-melodica, successo di questi anni, Butterfly, dove una vocina canta accompagnata da potenti bassi e altri effetti musicali. Fuori dal finestrino scorrono i campi, le casette dai muri di terra o mattoni e i tetti di tegole scure.

Minuscole figurine di contadini dai vestiti colorati si intravedono qua e là nei campi, come un immenso presepio vivente.

Parallele alla ferrovia, sullo sfondo, scorrono delle montagne ondulate. Tutto è molto verde.

(Treno per Kunming, 19 Agosto 2000)