
Oggi mia madre e Paula sono andate a fare una passeggiata e io, come avevo promesso, sono tornato al tempio portando le carte piacentine.
I bambini non erano ancora arrivati, così nell’attesa ho pregato davanti al Grande Saggio1 e ho detto qualche mantra nel porticato mangiando qualche strano frutto datomi da una bambina cicciottella, Hongli, anche lei tai.
Verso il primo pomeriggio sono arrivati gli altri e abbiamo subito cominciato a giocare a Uomo Nero.
Ero sicuro che questo gioco sarebbe piaciuto tantissimo, hanno partecipato anche due monaci che si sono divertiti come dei pazzi.
Le nostre risate riecheggiavano da sotto al porticato del tempio ogni volta che qualcuno riusciva a mollare l’asso di bastoni ad un avversario.
Mi sono esibito anche in un gioco di prestigio, che però non è piaciuto moltissimo (era meglio Uomo Nero).
Verso le quattro ho salutato tutti e mi sono avviato verso il bus per Jinghong.
Piccoli villaggi, donne tai in vestiti colorati con i capelli oliati raccolti sopra la testa attendevano il bus sotto la pioggia ai lati della strada fangosa.
Sulla via del ritorno, tutto questo mi passava davanti agli occhi mentre ero assorto a guardare fuori dal finestrino.
Il finestrino non si chiudeva bene e una goccia mi bagnava la coscia ad un ritmo più o meno costante.
Ancora bufali d’acqua, mercati colorati di frutta, etnie diverse e, infine, Jinghong.
Tornato in città sono andato al fiume a mangiare e ho rincontrato Zhang Ge, un uomo sulla trentina di corporatura tozza e di bassa statura, sempre vestito in pantaloncini e maglietta con braccia e gambe corte.
Zhang viene da Xian nello Shaanxi e lavora in uno dei tanti ristorantini lungo il Mekong, sembra un brav’uomo ma, parlando, mi ha confessato di non essere stato un brav’uomo in passato.
Anni prima infatti, in una rissa da ubriaco, aveva reso un’uomo invalido privandolo dell’uso del braccio e per questo aveva dovuto scontare sei anni di galera.
Adesso Zhang è qui, a migliaia di chilometri da casa, cercando di rifarsi una nuova vita.
Questi anni lo hanno cambiato. Ora è molto sensibile nei confronti degli invalidi e io certamente l’ho colpito.
Sapendo che sarei partito mi ha regalato una giada che portava al collo come portafortuna per augurarmi buon viaggio.
Non so se lo rivedrò. Spero di sì.
La sua confessione sincera, il suo pentimento, la sua umanità mi hanno profondamente commosso e gli auguro di essere felice con tutto il cuore.
Miduo, la ragazza akha mi ha fatto l’ultimo massaggio, dicendomi di cercarla quando tornerò così potremo passare più tempo insieme, anche io lo voglio ma tornerò veramente?
I suoi occhi e il suo sorriso mi hanno conquistato, mi piace e credo di piacerle.
Le sue amiche ridevano: “Lui sceglie sempre te”. Anche Zhang Ge scherzava: “strano! Tra tutte le ragazze che ci sono chiami sempre lei, forse ti piace?”
Siamo arrivati al momento dei saluti e, come sempre, provo una certa malinconia.
Salutato Zhang Ge e il suo amico Wang Ben, un ragazzo grassoccio con gli occhiali e i capelli di media lunghezza, saluto il Grande Fiume.
Ho promesso a me e a Zhang che sarei ritornato a Jinghong, forse per insegnare inglese nel monastero tai di Mantinglu come mi aveva proposto il monaco e forse sarei tornato proprio attraverso quel fiume, il Lancang….il Mekong.2
Prosegue da Pagoda nera pagoda bianca
(Jinghong, 3 Settembre 2000)
1Mahāmuni, il “Grande Saggio”, il Buddha.
2 In lingua thai o lao “fiume” mae nam, significa “madre delle acque”. Mekong sarebbe la forma abbreviata di Mae Nam Khong, il “Fiume Khong”. In cinese questo fiume è chiamato Lancang.