Questa è Hong Kong: la città dei ricchi poveri

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Il mio primo arrivo a Hong Kong è stato tutt’altro che traumatico, infatti come avevo scritto in un precedente post, ero andato a partecipare ad un ritiro di vipassana di dieci giorni nel villaggio di Hang Tau a Sheung Shui  ed ero entrato subito in una routine di ritmi lenti, scanditi da gong e silenziose pause del tè. Arrivavo dal rumore e dal disordine della Cina “Continentale” (Mainland o Da Lu come la chiamano un po’ tutti i cinesi per differenziarla da Hong Kong, Macau e Taiwan) e questa mi sembrava un’oasi di pace e libertà, almeno qui mi sentivo lontano dalla politica e dalla propaganda che ronzava dalle radio e compariva sugli schermi un po’ ovunque.

Alla fine di quel ritiro passai il resto della mattina e tutto il pomeriggio in giro nella zona di Tsim Sha Tsui, dove si trova il vecchio porto, il Victoria Harbour, e presi lo Star Ferry fino a Central  su Hong Kong Island. Venendo da dieci giorni di ritiro con una media di dieci ore giornaliere di meditazione, mi sembrava normale vedere tutto e tutti scorrere più veloce intorno a me e la cosa non mi aveva impressionato più di tanto. Passai delle ore intense come turista nella città prima di riprendere il treno verso Luohu e passare il confine per tornare a Shenzhen, nel Continente.

La seconda volta ci tornai due anni dopo sempre per qualcosa di “spirituale”: il primo insegnamento Dzogchen del mio maestro in Cina. Venivo da Chengdu e avevo prenotato una stanza economica alla Hakka’s Guesthouse, nell’Hua Feng Da Sha, in un grande e fatiscente edificio sulla via principale di Kawloon, Nathan Road, non lontano dal casino del Mirador Mansion e del Chungking Mansion, dove c’è la maggior concentrazione di guesthouse a poco prezzo della città.

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La stanza era forse la più piccola in cui io avessi mai pernottato, fatta eccezione per una di Bangkok e quella di Linxia. Comunque era sicuramente la più piccola per quel prezzo visto che pagavo 30 euro ma questo fattore non influiva più di tanto sul mio umore perché ero entusiasta di partecipare all’insegnamento e avevo tutta una città da scoprire. Rimasi in tutto una decina di giorni e, siccome l’insegnamento era la sera, il giorno andavo sempre in giro, uscivo la mattina e tornavo la sera tardi. Mi perdevo per le strade e le stradine seguendo il flusso e le sinergie di quella che per me era un’enorme Chinatown che sembrava uscita dai film di John Carpenter.

A Hong Kong avevo un vecchio amico conosciuto a Roma molti anni prima, spesso andavamo in giro insieme e lui mi mostrava la vita e la cultura locale. In quei giorni abbiamo visto una buona parte delle attrazioni turistiche e ho sperimentato in piccolo come gli Hongkonghesi vivono la loro città. Hong Kong allora mi sembrava una città molto cool.

L’anno dopo feci un biglietto Roma-Hong Kong perché non avevo ancora un visto per la Cina e quindi decisi di farlo lì. Anche questa volta presi una stanza alla Hakka’s Guesthouse fermandomi due settimane. Alla fine di quel viaggio presi l’aliscafo approdando in una terra amica e come un gesuita mi preparai per entrare a corte degli imperatori, arrivando a Zhuhai da Macau. Questa volta non rividi Tommy, il mio amico di Hong Kong perché non c’era ma girai sempre molto la città, divertito da quel ritmo veloce ed energico che mi girava intorno come un ciclone mentre sedevo in un Cha Can Ting bevendo il tè con latte locale e addentando sandwich con prosciutto e formaggio.

Sì infatti una cosa che ho capito dopo è che finché consumi, alimenti la catena e sei nel flusso, non sei estraneo a quel sistema e tutto fila liscio: come l’acqua.

Le leggi della termodinamica che regolano il movimento veloce di quei corpi nello spazio sembrano essere direttamente proporzionali a quelle che regolano la Borsa o le banche e i circuiti elettronici degli ATM. Spendi e non ti fermare! (Almeno non senza consumare). Consuma o continua a produrre, non riposare e soprattutto non pensare (perché forse se pensassi ti renderesti conto di questa grande follia, di tutto questo fumo senza arrosto).

Sì, è vero che oggi sempre più, tutto gira intorno al denaro e che questo modello è stato inventato in Occidente ma io non l’ho mai visto così moltiplicato all’ennesima potenza come l’ho visto a Hong Kong dove, se la gente nell’ora di punta ti travolge, spesso non ti chiede neanche scusa e se ti fa cadere a volte, preso così com’è dalla frenesia del correre (forse perché il tempo è denaro), neanche se ne accorge (mi è capitato almeno un paio di volte).

Vivo a Hong Kong ormai da un’anno e l’ho girata abbastanza per dire di conoscerla ma sono sempre più convinto che, al di là del particolare effetto scenografico di molti dei suoi paesaggi caratteristici, questo sia uno dei posti più infelici che io abbia mai visitato.

C’è da dire però che nelle mie analisi sono sempre soggettivo e non mi piace essere “corretto” e coerente, quindi forse questa visione potrebbe essere, come a volte accade, solo passeggera e filtrata attraverso stati d’animo che possono cambiare, o forse semplicemente ho vissuto troppo di tutto questo ma comunque per quanto possa piacere o non piacere, penso che certi elementi rimangano abbastanza oggettivi. Se volete quindi concentrarvi sui lati positivi leggete gli altri miei post che ho scritto o che scriverò su Hong Kong o altre pagine.

Come ho detto i lati positivi ci sono ma per me, soprattutto se si ha intenzione di vivere qui, la mancanza di spazio e la sproporzione esagerata del rapporto qualità-prezzo alla lunga li fa passare tutti in secondo piano.

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Sì, a Hong Kong tutto è conveniente, trovi tutto e di tutto quasi sempre a chilometro zero ma, soprattutto nelle zone centrali, questa città finisce quasi per essere un unico negozio urbano.

Nei lucidi e sterilizzati shopping centre la vita si svolge al chiuso sotto luci elettriche. Quando poi esci per strada e in pochi chilometri vedi sempre le stesse catene di negozi e conti la centesima scatola di Ferrero Rocher comincia a essere troppo.

I brand sono ovunque, anche sui vestiti della gente che attraversa di fronte a te ai semafori.

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Un altra’cosa che caratterizza Hong Kong è la varietà, infatti in poco più di 1000 kmq ci sono riserve naturali, montagne, isolette e spiagge dalla vegetazione rigogliosa. Questo è perfetto per un viaggiatore che si ferma qui pochi giorni o mesi ma dopo un po’ tutti finiscono per fare sempre le stesse cose e andare negli stessi posti e sembra un po’ di vivere in una di quelle bolle di vetro con la neve che vendono come souvenir.

La monotonia ci coglie un po’ dovunque ma a differenza di altre città dove puoi sempre prendere il treno o la macchina e allontanarti di chilometri e chilometri guardando la campagna o, quanto meno, la strada che scorre per ore fuori dal finestrino, a Hong Kong se vuoi viaggiare via terra ti devi accontentare di viaggi brevi, spesso insignificanti. Infatti Hong Kong è una città-stato, lo spazio è molto limitato e non e facile uscirne se non in aereo (infatti per andare nella “Cina Continentale” serve un visto e si deve passare il controllo passaporti).

C’è anche da dire, però, che con le montagne ricoperte di foreste incontaminate, le spiagge paradisiache e l’acqua cristallina dei paesi del Sud-Est Asiatico a poche ore di distanza  e soprattutto paesi come la Thailandia, dove il rapporto qualità-prezzo-convenienza-comodità, è tra i migliori dell’Asia, o la Malaysia, con l’ “isola cinese” dall’architettura coloniale di Penang, l’attrattiva di Hong Kong passa immediatamente in secondo piano (il mare qui infatti non è proprio pulito e le spiagge in alcuni periodi dell’anno si riempiono di rifiuti) e si riduce a quello che poi effettivamente è: un porto, uno snodo verso altri paesi. La Cina dietro la porta, con la sua storia danneggiata ma pur sempre millenaria, e Taiwan vicino sminuiscono ulteriormente la moderna Hong Kong agli occhi di un viaggiatore amante dell’Asia che infatti preferisce viaggiare altrove e passa a Hong Kong una media di 2-5 giorni.

E’ vero, ci sono le outlying islands: isole con case basse dove la gente è più umana e dove non possono circolare macchine ma Hong Kong è già di per sé una “città-isola” e vivendo lì uno finisce per vivere nell’isola dell’isola ed isolarsi ancora di più.

La visibile mancanza di spazio nelle abitazioni, i cui costi e dimensioni rasentano quasi il comico, e nelle strade, chiuse tra palazzi altissimi, alla lunga ti fa vivere in una dimensione claustrofobica e, per uno come me, che ama gli spazi ampi e i cieli azzurri è facile sentirsi prigioniero da questa realtà innaturale.

Anche se hai la fortuna di vivere in una casa “grande” infatti, accanto e di fronte al tuo edificio, a pochissima distanza (il concetto di distanza di sicurezza a Hong Kong è infatti inesistente) molto probabilmente c’è un altro alveare di cemento e la sensazione che si prova è comunque opprimente. L’unico rilassamento per l’occhio e per lo spirito è guardare il mare.

Infatti dei poco più di 1000 kmq di terreno meno del 25% è costruito e solo il 7% è destinato ad abitazioni dove vivono più di 7 milioni di persone.

Per finire la qualità e l’inquinamento sono migliori di quelle delle grandi città costiere della Cina ma non più tanto migliori.

Quando fai notare queste cose alla gente, questa ti risponde con un tono a metà tra orgoglio e rassegnazione: “This is Hong Kong!”

This is Hong Kong! Penso io, riflettendo su come la gente ripeta frasi fatte e vuote prive di significato e di quanto il brand possa servire come toppa per coprire i buchi dei vestiti vecchi.

This is Hong Kong! La “Perla dell’Asia”, una città ormai che campa sulla sua gloria passata, un porto, un crocevia affascinante e bello per una breve sosta turistica ma non per passarci degli anni.

This is Hong Kong! Una città con uno dei più alti tassi d’impiego del mondo, una città dove manca l’umanità ma non manca il lavoro e i numeri sono quelli del GDP e dell’Average Income, il lavoro è quello dei salary man e i soldi quelli delle banche. Una città ossessionata dal successo e dove chi non ce l’ha, molto spesso ha già deciso di uscire dalla scena in un gesto silenzioso è indolore.

Questa è Hong Kong, dove la gente sorride poco e le ragazze, pur spendendo fior di soldi per comprare cosmetici per i loro make-up, diventano brutte per via di quei loro visi imbronciati dalle espressioni infelici, dove si posta compulsivamente su Facebook ogni ristorante e ogni evento a cui si partecipa anche se sempre nel raggio di pochi metri o chilometri perché più in là non si può andare.

E’ qui che quando ho chiesto ad una ragazza di 19 anni qual era il suo sogno mi ha risposto comprarsi una Lamborghini, non pensando però che qui le Lamborghini e le Ferrari rombano e sfrecciano su vie quasi sempre strette e serpeggianti prima di fermarsi davanti all’ennesimo semaforo solo pochi metri più avanti.

Ci sono eccezioni? Chiederete voi. Certo ma per me non confermano la regola.

2 pensieri su “Questa è Hong Kong: la città dei ricchi poveri

  1. In questo post hai racchiuso ogni singolo sentimento che provo per questa citta’, che pur amando alla follia non posso non odiare al contempo. E’ il posto più infelice sulla terra. Nell’indicatore alternativo del Buthan dove conta la felicita’ pro capite piuttosto che la ricchezza, Hong Kong sarebbe all’ultimo posto.

    Ma forse proprio questa sua caratteristica lo rende speciale, perche’ ti costringe a riflettere su ogni cosa. Sulla vita che viviamo e su quella degli altri. Ho un debito enorme nei confronti di Hong Kong, mi ha aperto gli occhi. (Strappandomi la pelle delle palpebre con le unghie.)

    Mai più d’accordo mi trovi sul fatto che serve l’intento di imparare a conoscerla per poi trovare la tua via, non e’ un luogo dove vivere in eterno. Quello mai. Tuttavia mi mancherà.

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